Libero, 19 aprile 2019
La storia della falsa Gioconda
Leonardo da Vinci aveva a bottega due allievi che amava molto, ma che non potevano essere più diversi l’uno dall’altro. A imparare dal Maestro e ad aiutarlo nelle faccende quotidiane c’era il devoto Francesco Melzi, figlio di un capitano della milizia milanese sotto Luigi XII, che aveva bussato alla porta dello studio a soli 13 anni e che restò con lui senza riserve fino al giorno della sua morte. Poi c’era Gian Giacomo Caprotti, soprannominato da Leonardo «Salai» come i diavoletti del Morgante, poema cavalleresco composto per la corte dei Medici da Luigi Pulci, che ne combinava di tutti i colori. Giocava a carte, andava a prostitute, si indebitava, rubava: su un foglio conservato nel manoscritto C a Parigi lo stesso Maestro parla dei misfatti compiuti dal giovane e sul margine annota le parole: «ladro» «bugiardo» «ostinato» «ghiotto». Nonostante tutto ciò Leonardo gli mise in mano la gestione della “casa” e il vigneto ricevuto in dono da Ludovico il Moro alla fine del 1497, oltre ovviamente ad insegnargli a dipingere come solo lui sapeva fare. Gli svelò i segreti della pittura e dello sfumato e dopo più di 25 anni vissuti con Leonardo il Salai era perfettamente in grado di riprodurre così bene le opere del Maestro che molte furono scambiate per autentiche. Anche la Gioconda che così tanto emoziona i visitatori del Louvre? Probabile, secondo lo studioso Silvano Vinceti. Lui, che è presidente del Comitato per la valorizzazione dei Beni Storici, Ambientali e Culturali e ha concluso felicemente la ricerca dei resti mortali della modella della Gioconda, nel suo ultimo lavoro Il furto della Gioconda. Un falso al Louvre? (Armando Editore, 192 pagine, 15 euro) solleva infatti il dubbio che Monna Lisa possa essere un falso d’autore realizzato proprio dall’allievo prediletto di Leonardo: il Salai.
IL FURTO DEL 1911
Il libro parte dal furto della Gioconda avvenuto il 21 agosto 1911. Lo studio di quello spettacolare crimine, attraverso nuovi e originali documenti custoditi negli Archivi di Stato di Firenze, ha permesso a Vinceti di riscriverne la storia spostando i riflettori da Vincenzo Peruggia – che rivendicò l’azione dopo essere stato pagato profumatamente, ma che di fatto sembra non essere mai entrato al Louvre e quindi non rubò il quadro – ad altri personaggi come i fratelli Vincenzo e Michele Lancellotti, un falsario francese, Yves Chaudron e il marchese Eduardo de Valfierno, un mercante d’arte che fece riprodurre varie copie della Gioconda per poi venderle ad ignari e facoltosi latifondisti americani.
LE PERIZIE
Partendo da questo Vinceti si mette a fare ricerche dalle quali emergono elementi tali da sollevare dubbi sulla autenticità della Gioconda esposta al Louvre: dalla perizia realizzata nel 1913, che aveva lo scopo d’accertare l’autenticità del dipinto ritrovato risultata invece priva di fondamenti oggettivi, all’indagine sul quadro commissionata dallo stesso museo a Pascal Cotte, del prestigioso laboratorio francese Lumiere tecnologie, che scaduto l’impegno di segretezza con il museo, ha reso noto che nell’ultimo strato della Gioconda, quello che precede il dipinto che tutto il mondo ammira, figura una disegno di una donna più giovane e senza somiglianze con la dama dallo sguardo sfuggente e dal sorriso enigmatico. Questa raffigurazione solleva diversi interrogativi sull’autore dell’opera e sulla sua autenticità. Il prof si mette a scavare tra i documenti che riguardano il Salai e viene fuori che nel 1517 ricevette una forte somma dalla tesoreria del Re di Francia, presumibilmente per un dipinto venduto. Sicuramente Francesco I non avrebbe mai pagato una cifra così alta per un dipinto di uno sconosciuto allievo di Leonardo: cosa gli vendette? Nello stesso testamento del Salai, dove vengono elencati i dipinti che lascia alle sorelle, si trova la dicitura «Joconda». Era sicuramente una copia del famoso dipinto, come è stata attribuita a lui anche un’altra replica presente in un importante museo americano. Da qualche parte, dunque, gelosamente nascosta agli occhi di tanti curisosi, riposa sorniona e sorridente la vera Gioconda di Leonardo. «I milioni di turisti che rimangono esaltati davanti a un tale capolavoro», scrive Vinceti alla fine del libro, «potrebbero mirare una semplice copia». Una copia davvero bellissima.