ItaliaOggi, 19 aprile 2019
Modelle nere al Museo d’Orsay
Il nero è il colore prevalente al Museo d’Orsay, a Parigi, che ospita, fino al 21 luglio, la mostra intitolata «Il modello nero. Da Géricault a Matisse», a cura di Stéphane Guégan con Cécile Debray, Denise Murrell e Isolde Pludermacher. L’esposizione è dedicata, per la prima volta, alla rappresentazione dei neri nell’arte francese, dalla Rivoluzione al periodo compreso fra le due guerre. Le nere o mulatte erano spesso delle tate, o cameriere e, addirittura delle prostitute e allo stesso tempo delle muse. I curatori con questa mostra hanno voluto contrastare l’idea comune, forzatamente sessista, razzista e imperialista che l’immagine del nero sollevava in quel dato periodo storico, secondo quanto ha riportato Le Figaro. Lo testimonia il Ritratto di negra, poi ribattezzato La Maddalena realizzato da Marie-Guillemine Benoist, allieva di David e di Vigée Le Brun. L’identità di questa Gioconda nera è stata ritrovata: si chiamava Madeleine (Maddalena) e dunque il quadro è stato rinominato Maddalena, e lavorara al servizio del cognato dell’artista Benoist che in questo ritratto è andata oltre i canoni del tipico nero: i colori blu, bianco e rosso ne fanno una Marianna della prima repubblica. Gli uomini avevano qualche chances in più rispetto alle donne di accedere alla funzione di artista, come Guillaume Guillon-Lethière, di Guadalupe, di padre bianco e di madre nera, e Théodore Chassériau, nato a Santo Domingo da una donna di colore e considerato uno dei migliori allievi di Ingres.In mostra ci sono una settantina di pitture, un’ottantina di foto, sculture, disegni, stampe di libri, manifesti e altri documenti, tra i quali anche gli originali dei decreti di abolizione della schiavitù nelle colonie francesi, quello dell’anno II e quello del 1848, secondo quanto ha riportato Le Figaro. L’insieme permette di comprendere la sfida della diversità da una nuova prospettiva. Sono rivelati i destini di personalità nere, reali o di fantasia, divenute celebri (i Dumas occupano un muro intero con le caricature, negative o positive e i loro ritratti fotografici), o anche finora dimenticati. Così Maria dei Caraibi che posa, lo sguardo lontano, per il fotografo Nadar negli anni 1860. Forse è lei la Malibran nera, l’artista originaria dell’Avana ammirata da Théophile Gautier, fiore della scena parigina prima di finire in miseria, si chiede Le Figaro. Non si sa. Queste persone, spesso relegate ai margini della grande storia, hanno giocato un ruolo essenziale nelle arti, nelle lettere o nella politica come il deputato Jean-Baptiste Belley di origine senegalese.
Classicismo e reazione, modernismo e progresso non vanno forzatamente insieme come dimostra la Nera dipinta da Manet, padre della nuova pittura, che rinvia ad un immaginario aristocratico e coloniale, mentre all’opposto un Verdier, altro allievo di Ingres, denuncia le sevizie o la tratta dei neri come fa anche François-Auguste Biard.
Evitare il manicheismo è il consiglio dispensato dal responsabile del servizio culturale dell’autitorium d’Orsay, Luc Bouniol-Laffont, che ha battezzato la programmazione musicale che correda l’esposizione. Un modo per fare il parallelo con un altro incontro: quello delle musiche occidentali e afro-americane all’inizio del XX secolo. È l’occasione per sottolineare l’importanza degli interpreti e compositori di origine africana, caraibica o afro-americana nella storia della musica.
L’ultima parte della mostra, superato il XIX secolo, è consacrata ai tempi delle prime avanguardie e al cosmopolitismo, ed è meno dettagliata. Tra le due guerre sempre più neri abitavano Parigi, che si era americanizzata ed era diventata un rifugio, soprattutto per i jazzmen. E i posti migliori sono riservati a Joséphine Baker e a un Matisse stupito dalle isole come dalla vita trepidante di Harlem.