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 2019  aprile 19 Venerdì calendario

Polonia, la rivolta dei maestri

Da molte mattine nessuno legge l’appello degli alunni tra sedie e banchi vuoti delle scuole primarie e secondarie. Da due settimane sono i professori a essere assenti: è strajk, sciopero degli insegnanti nella Polonia che lotta per la sua busta paga. Le campanelle di fine ora restano mute, da inizio aprile suonano solo i tamburi della rivolta dei maestri che chiedono un aumento del 30% dello stipendio.
Dai 1.800 ai 3.000 zloti, circa 500 e 800 euro al mese: è quanto guadagnano gli insegnanti polacchi che vogliono un aumento del 30% indispensabile per tornare in aula. Lo dicono da gennaio scorso e dopo mesi di parole, sono iniziate settimane di azione. I “lavoratori dell’istruzione” – professori, maestri, tutori – sono in mobilitazione. Lo sciopero nazionale che coinvolge l’80% delle scuole del paese conta quote di adesione che non si vedevano dagli anni 90: 600 mila insegnanti, armati di rabbia, matita e righello, hanno incrociato le braccia dall’8 aprile scorso, perché hanno bisogno di una cosa: rownosc, uguaglianza economica.
Insegnano storia, geografia, matematica, inglese. Proiettano le nuove generazioni nel futuro di un Paese che li sta lasciando indietro. Da quando le mamme polacche hanno cominciato a portare i figli al lavoro perché le maestre erano assenti, il governo ha capito che il problema stava diventando sempre più serio. Alle elementari del quartiere Praga, a Varsavia, le madri marciano con le maestre: “Chi insegnerà ai nostri bambini? Siamo qui per i nostri figli”. Nella Capitale una paga così bassa finisce prima che nel resto della Polonia. Il cambiamento richiesto è irricevibile per la squadra del Pis, partito ‘Diritto e Giustizia’ al potere, notoriamente incline allo scontro e mai al compromesso, ma che ha già registrato la sua prima disfatta. I professori hanno dato uno scacco matto con effetto immediato, assentandosi proprio prima dei test di fine anno: il 10 e 15 aprile. In Polonia la notte prima degli esami a non dormire sono stati i politici e non gli studenti. “State danneggiando gli alunni polacchi, ma gli esami non verranno rimandati” ha detto Anna Zelewska, ministra dell’istruzione. Il suo ministero, che vorrebbe fermare lo sciopero ma non sa più bene come, è stato costretto per quest’emergenza a richiamare in servizio maestri pensionati, supplenti, perfino tutori religiosi per le prove di fine anno. I maestri sono diventati quello che nessuno in Polonia si aspettava diventassero: lo zoccolo duro che tiene testa al partito al potere, dopo la marcia del 17 marzo e la futura del 24 aprile, quando con poche bandiere ma tanti punti esclamativi disegnati, marceranno fino al Sjem, il Parlamento polacco.
A lezione di storia e di rivolta vanno anche gli studenti, che restituiscono il senso della battaglia dei professori a modo loro, ballando con le casse da concerto puntate verso le finestre del Men, il ministero dell’istruzione polacco. Perfino l’ex premier, Beata Szydlo, è stata coinvolta per tentare di regolarizzare la situazione. Vestita di rosso porpora, ha proposto ai professori un aumento di stipendio del 15%, la metà di quanto richiesto: “È una buona proposta”. Ma a qualsiasi compromesso al ribasso la risposta polacca è ‘no’, fischi e assenza in aula ad oltranza. Anche l’uomo che Szydlo scelse nel suo governo come ministro dell’economia scuote la testa. Oggi è il premier del paese. Mateusz Morawiecki, imbolsito dalla campagna elettorale per le urne europee, è impegnato a pubblicizzare promesse di investimenti da destinare ad altre categorie: pensionati, giovani coppie con figli, liberi professionisti. Per gli insegnanti “mancano fondi nel budget”.
A tenere testa alle autorità è Slawomir Broniarz, a capo del Znp, sindacato insegnanti polacchi: “Questo sciopero durerà in maniera indefinita”. Sa che per il Pis cedere vuol dire farlo in futuro anche con altre categorie di lavoratori. “Il governo sta solo simulando di negoziare”. Broniarz, dai palchi dei concerti di solidarietà a quelli dei sit-in nel Paese, ripete: “Vogliamo l’aumento del salario e della dignità”.
È una promessa e una minaccia: i maestri non sono disposti a cedere, proprio come accadeva alle manifestazioni di Solidarnosc oltre un quarto di secolo fa nei cantieri di Danzica. Ieri i porti, oggi le scuole. Scioperi così diffusi non si vedevano da allora e per ricordarlo i maestri scelgono questo paragone iperbolico. Meglio di tutti lo sanno loro, che la storia la insegnano.