il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2019
Ritratto cattivo di Armando Siri
“Siri chi… il cardinale?”. A Genova quando pronunci quel cognome tutti pensano a Giuseppe, l’arcivescovo entrato tante volte in Conclave già papa e sempre uscito cardinale. Il sottosegretario no, molti fino a ieri nemmeno sapevano che fosse genovese. Armando Siri lo è, come Francesco Belsito. Altro sottosegretario che il Carroccio oggi cerca di dimenticare. Ci sarebbe anche Edoardo Rixi che si sta dando un gran da fare con il Ponte Morandi, ma che vive sotto una spada di Damocle: il processo per le spese pazze in Regione. Ma torniamo a Siri. Chi ricorda i suoi esordi parla di “un ragazzo sveglio, ambizioso e fedelissimo di Luca Iosi, socialista rampante degli Anni 90. Un passaggio scomodo che, però, Siri non ha mai rinnegato. Addirittura lo cita nella sua biografia: “Da giovanissimo è stato attivista della gioventù socialista e poi amico personale e collaboratore di Bettino Craxi”. Così come Siri non ha mai sventolato titoli di studio roboanti, anzi, ha sempre scherzato vantandosi della licenza elementare. Un giovane che brucia le tappe: a vent’anni è sposato e a 22 papà. Dal Psi agli ambienti berlusconiani il passaggio è breve: Siri diventa giornalista Mediaset. Qualcuno dice che fosse stimato da Marcello Dell’Utri. I colleghi di allora ricordano che a quei tempi nel cdr dei tg del Cavaliere trovavi Giovanni Toti. Intanto Siri sforna libri come panini: La Beffa, poi Il Sacco all’Italia. Nel 2010 L’Italia Nuova – L’Inizio quindi La Luce e l’ombra, Eurokrazia e infine quello che lo ha fatto decollare: Flat tax. Ma la parabola politica di Siri comincia prima. Con alti e bassi: nel 2010 fonda il Pin, Partito Italia Nuova. Ne diventa presidente, cerca di fondare sedi in tutta Italia. Fino alle elezioni comunali. Prima tenta di candidarsi a Milano, ma la sua lista non viene accettata e lui si ritrova sul gobbone centinaia di manifesti che già tappezzano la città (con 150mila euro di sanzioni per le affissioni). Poi prova a Genova nel 2012 e raccoglie appena lo 0,62%, cioè 1.647 voti. Nonostante la campagna elettorale in grande stile e manifesti ovunque. Anni sfortunati.
Nel 2014 Siri a Milano patteggiò una pena per bancarotta fraudolenta a un anno e 8 mesi per il crac MediaItalia che secondo i pm si era indebitata per un milione. L’accusa sostenne che il patrimonio finì in un’altra impresa con sede nel Delaware. Siri respinse le accuse, sostenne di aver patteggiato perché non aveva risorse per un processo. Acqua passata, l’astro di Siri stava già nascendo: “Una delle proposte principali di Siri – racconta il curriculum – è quella dell’aliquota unica (flat tax) al 15%”.
E scocca la scintilla: “Nel 2014 sigla una collaborazione con Salvini… nel 2015 viene nominato responsabile economico e della formazione di Noi con Salvini”. Il vate della flat tax, dicono i maligni, nel maggio 2018 già sogna la poltrona di ministro dell’Economia. Invece si trova sottosegretario alle Infrastrutture. Pare non l’abbia presa bene. Dagli archivi di Tagadà emerge una puntata in cui Siri dichiara: “Toninelli non è ministro”. E invece lo era, il suo.