Corriere della Sera, 19 aprile 2019
Ritratto di Federico Palmaroli, ovvero #lepiùbellefrasidiosho
L’incarico: parlare con l’autore delle vignette di satira politica più forte del momento, una firma – #lepiùbellefrasidiosho – diventata virale, le nostre applicazioni WhatsApp piene, tic-tac e a metà pomeriggio te ne entra sempre una che ti mette un filo di buon umore anche se è un pomeriggio che levati, Salvini e Di Maio visti con strepitose dosi di sarcasmo romano, l’amara ironia romana che graffia e spiega tutto con un sorriso, con uno slang romanesco un po’ rielaborato così da essere comprensibile da Milano e fino a Palermo.
«Però dobbiamo sentirci nel pomeriggio: esco alle sei».
Federico Palmaroli, quasi 46 anni, lavora come impiegato in un’azienda. Ha una scrivania, una lampada, un cartellino da timbrare. Del resto gli autori di satira sono quasi sempre degli irregolari, partono in modo normale (Forattini, per dire, come operaio in una raffineria di petrolio) e poi trovano la loro vena, anzi è proprio la vena che gli parte e iniziano a creare.
Lui comincia nel febbraio di quattro anni fa. Sul web scopre un sito dove raccolgono le più belle frasi di Osho Rajneesh, un santone che a metà degli anni Settanta girava l’India fondando comunità e insegnando amore e meditazione, per poi trasferirsi in Oregon, negli Stati Uniti, e appassionarsi alle Rolls-Royce (ne collezionò 92).
L’idea è semplice, è il classico giochino alto-basso: prendere una foto del santone e poi associarci un luogo comune, una di quelle frasi che ripetiamo senza accorgercene – «Un giacchetto in macchina è sempre meglio lasciarlo» – e che, rilette, ti fanno poi pensare: sono un cretino. Funziona, ma dura poco: la setta si ribella, minaccia querele, Palmaroli è costretto a ritirare dal mercato tre libri e ad andare oltre.
Dove?
Dov’è adesso.
Dentro la politica e l’attualità.
Rielaborando, con puro genio, foto autentiche.
«Più o meno a quest’ora, comincio ad aprire i siti: inizio da quello dell’Ansa, che è asciutto, passo a quello del Corriere, a Dagospia e poi proseguo con gli altri. Intuisco i due, tre argomenti del giorno e inizio a cercare le foto, finché non trovo quella che mi ispira e...» (si sono fatte le sei e Palmaroli, intanto, è uscito dall’ufficio).
Aspetta: prima parlami della tua famiglia.
«Normale, borghese. Sono cresciuto a Monteverde. Mio padre dirigente d’azienda, mia madre casalinga. Dopo il liceo classico, al Tacito, mi iscrivo come un pecorone a Giurisprudenza. Poi trovo lavoro dopo qualche contratto interinale. Insomma, per merito: scusa se sottolineo per merito, ma ci tengo».
Quando hai capito di avere un talento per fare satira?
«In età adolescenziale, io e un mio amico tenevamo un quaderno sul quale appuntavamo tutte le frasi più stereotipate che ascoltavamo nelle telefonate dei nostri genitori. Forse è successo lì, in quel periodo».
Torniamo alla foto politica del giorno. La vedi, ti ispira: e poi?
«Poi viene il difficile: trovare la frase giusta».
Continua.
«Un esempio? Stavano cercando di accroccare questo governo, e ogni giorno andavano in processione dal Presidente Mattarella per spiegargli la loro bizzarra idea di contratto. Così prendo una foto di gruppo con Salvini, e li vedo che leggono, sembrano studenti che ripassano la lezione. Allora mi viene la frase: “Imparamose bene l’Europa che quella Mattarella la chiede sempre”».
Magnifica. Ma pure quella dell’altro giorno con Salvini e Di Maio...
«Litigano ferocemente dalla mattina alla sera. Allora ho trovato una foto in cui c’è Salvini che dice qualcosa a Di Maio, mentre Di Maio guarda da un’altra parte... “Aò, ma se po’ sapé che t’ho fatto?”. E Di Maio: “Niente niente, lascia stare”. Di Maio, bada bene, a braccia conserte».
Si arrabbia qualcuno?
«No. Gentiloni mi invitò a Palazzo Chigi. Credo l’abbia presa sportivamente persino la Boschi, quando le feci dire: “Che senso c’ha sarvà na banca, se er vicepresidente ’n è tu padre?”».
La satira di Palmaroli è una lama grottesca. Il Tempo si è assicurato una vignetta in esclusiva al giorno. Ma la sensazione, netta, è che Palmaroli, pur godendo di una notorietà ormai gigantesca – quasi 900 mila seguaci su Facebook, oltre 200 mila follower su Twitter – sia in qualche modo penalizzato.
Lui se ne è accorto.
Lui sa anche il perché.
«Mi emarginano perché c’è quest’idea che io sia di destra. Tutto ebbe inizio con una intervista su Repubblica, tempo fa. Dissi che da giovane avevo votato per il Movimento Sociale, poi per la destra sociale. Se ricordo bene l’intervista fu poi ripresa dall’Huffington e da lì... Mi spiace, perché io metto nel mirino chiunque, faccio satira senza farmi condizionare dal pensiero politico. Ma a Vauro è consentito, a me no».
È sera.
Deve spedire la vignetta al suo giornale.