Corriere della Sera, 19 aprile 2019
Vita da organaro a Venezia
È l’ultimo organaro di Venezia. L’ultimo rimasto, in una città che annovera un’ottantina di organi nelle chiese, tutti realizzati tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, bisognosi di continui restauri, accordature e attenzioni. Voleva fare l’ingegnere Pasquale Ferrari, 64 anni, prossimo alla pensione. Avrebbe potuto portare avanti l’avviata tipografia fondata dal nonno (un garibaldino di cui conserva ancora il berretto rosso). Appassionato di meccanica, aveva ormai concluso il biennio di ingegneria all’università. Poi la svolta.
Assiste per caso al lavoro di un maestro organaro padovano e nasce un amore che non lo abbandonerà più: restaurare, accordare e costruire il «re degli strumenti». Si illumina in volto quando ne parla: «Mi affascina la complessità della macchina, la sua potenza sonora, la sua maestosità. Gli organi sono tutti diversi, realizzati secondo i gusti di chi li costruisce, di chi li commissiona e di chi li suona. Rispecchiano le diverse tendenze della musica del tempo».
Il suo laboratorio, nascosto in una calle stretta nel sestiere di Castello, sembra una bottega medioevale, dove tutto è apparentemente in disordine ma accanto a macchine dalla parvenza più moderna si capisce che è la manualità, l’abilità, l’inventiva e la passione a fare la differenza. «Qui entrano solo le materie prime, legno, metalli e pelli – spiega Gabriele Marchi, specialista in accordature e pianificazioni dei restauri di organi, collaboratore di Pasquale – ma tutto il resto lo facciamo noi, ogni singolo pezzo, dai più minuti alle lunghe canne». «In casa abbiamo sempre avuto la passione per la musica classica – racconta l’organaro – il nonno e la nonna suonavano il pianoforte, mio fratello Giovanni è organista. Al compleanno della nonna, la mamma le regalò un cofanetto di dischi con l’intera opera di Bach. E così noi fratelli ci siamo appassionati alla musica barocca».
Pasquale è un artigiano, ma mai la definizione gli è stretta. Perché alle grandi abilità tecniche che richiede il suo mestiere, bisogna aggiungere una serie di competenze, che vanno dalla conoscenza della musica alla sua storia, dalla fisica alla chimica allo studio dei materiali. Nulla potrebbe nascere senza la sensibilità artistica e la poesia che Pasquale mette nel suo lavoro. Nel suo curriculum figurano restauri di organi importanti, come quello delle chiese di San Samuele, di San Lio, di San Giovanni Evangelista, del grande organo della chiesa della Madonna dell’Orto, durato quattro anni. A cui va aggiunta anche la costruzione dell’organo della chiesa di Santa Maria Formosa.
«Ho imparato il mestiere da un maestro austriaco di Krems, lungo il Danubio, che si chiamava Gerard Hradetzky. In Italia non ci sono scuole per organari. Dal 28 dicembre scorso il ministero dei Beni culturali ha istituito l’albo dei restauratori, ma per entraci mi chiedono titoli di studio, certificazioni e una lunga trafila burocratica, così ci ho rinunciato. Non capiscono che è da una vita che faccio questo lavoro».
«Non finirò però di lavorare – continua – costruirò clavicembali, molto richiesti da chi suona musica antica». Pasquale non è riuscito a «tirar su» qualche giovane perché imparasse il mestiere: «È un lavoro di sacrifici. Se devi andare sul posto devi mettere in conto che potresti star via di casa anche mesi o anni». E conclude amaro: «Mi fa un grande dispiacere vedere tanti mestieri artigianali che spariscono in questa città fagocitata dal turismo».