Corriere della Sera, 19 aprile 2019
L’invasione delle locuste: l’Iran accusa i sauditi
Nemmeno al Faraone d’Egitto gliela fecero così grossa. Neppure quel Pavone dello Scià di Persia avrebbe mai osato tanto. Sciami che tappezzano le strade del Khouzestan, milioni di cavallette che invadono i bazar beluci, nuvole d’insetti che piovono sulle case di Bushehr e di Fars, masse alate che vengono sospinte dai venti dell’Hormozgan e planano nei deserti di Kerman e Sistan… Una maledizione dal cielo. Peggio d’un raid israeliano o d’un tweet di Trump. Colpa del cambiamento climatico? No, dell’orientamento politico. Perché a certi falchi di Teheran non gliela si fa: l’ortottero è un infedele al servizio dei sunniti e dietro l’ultima invasione delle cavallette nelle regioni del Sud, altro che flagello divino, qui Arabia ci cova. «Da Riad hanno permesso che milioni di locuste si dirigessero verso il nostro Paese – è sicuro Said Moeini, direttore generale del ministero dell’Agricoltura iraniano —. Sapendo che gli sciami avrebbero raggiunto noi, non hanno fatto nulla per bloccarli».
Allah stramaledica i sauditi. L’ottava piaga biblica è la millesima lite coranica fra gli sciiti di Teheran e i wahabiti di Riad. Recita il libro dei Proverbi che «le cavallette non hanno un re, eppure marciano tutte insieme schierate»? Favole, commentano le autorità iraniane: la locusta migratoria è l’ultima arma segreta dell’odiata dinastia Saud. E siccome l’insetto ama l’umido, e in Medio Oriente è stato un inverno piovosissimo, il sospetto è che qualcuno ne abbia agevolato l’esodo. In fuga dal Golfo d’Arabia (o Golfo Persico, a seconda dei punti di vista, perché si sa che arabi e persiani litigano perfino sui nomi dei mari), tutte a cercare il loro Nord. Che caso vuole, o politica impone, sia proprio l’Iran degli ayatollah e il Libano degli Hezbollah (sciiti pure questi). Ondate da venti milioni d’insetti, che nei prossimi giorni raddoppieranno grazie ai venti: volano 400 km al giorno, a 1.700 metri di quota.
Gli iraniani per ora ammazzano le larve, impedendo almeno la riproduzione, ma i campi di pistacchi e di barbabietole rimangono a rischio: uno sciame piccolo è capace di divorare in ventiquattr’ore il nutrimento di cinquantamila persone. Quindici anni fa, in Egitto, la gente bruciava gli pneumatici pur di fermare col fumo nero l’invasione, eppure andò distrutta la metà dei raccolti.
Insetti di distruzione di massa. Avere il doppio dei soldati di Riad non ha mai tranquillizzato Teheran. Un po’ perché le armi vendute da Putin non bastano mai, con tanti fronti aperti (e comunque i sauditi sono meglio riforniti da Trump). Un po’ perché l’entomofobia militare, l’essere colpiti con armi non convenzionali come gli insetti, è una paura antica.
«Io ti riempirò di uomini come di locuste – ammoniva il profeta Geremia – che eleveranno contro di te grida di guerra». E pure la Convenzione di Washington del 1972 sulle armi biologiche s’occupava del tema: dopo la Seconda guerra mondiale, si scoprì che i nazisti avevano sperimentato gli effetti di tifo e malaria sui deportati nel lager di Dachau, selezionando poi una zanzara anofele molto aggressiva che potesse infettare le truppe americane. Per non parlare del Giappone, che in Manciuria allevava topi e miliardi di pulci sognando di «bombardare» Los Angeles e diffondere la peste bubbonica. Due anni fa, fecero rumore le rivelazioni su «Insect allies», un progetto dell’agenzia americana per la ricerca avanzata della Difesa (Darpa), che nei laboratori di Arlington in Virginia immetteva nelle piante, attraverso gli insetti, virus capaci di cambiare il genoma vegetale d’intere coltivazioni. Fantascienza bellica?
Se il genere v’appassiona, gli iraniani ora hanno scritto un nuovo capitolo. «Non siete niente», inveì qualche mese fa il presidente Hassan Rouhani contro gli odiati sauditi: «Contro di noi, potenze più grandi di voi si sono rotte i denti». Forse, non aveva calcolato il morso della cavalletta.