ItaliaOggi, 18 aprile 2019
Germania, la febbre del mattone
I giornalisti economici dei giornali nazionali, le banche, i consiglieri finanziari, continuano a mettere in guardia: attenti, la bolla edilizia sta per esplodere, gli investimenti immobiliari non sono sicuri, domani i prezzi potrebbero scendere, o crollare. È già avvenuto a Berlino, quando, dopo il Muro, per uffici e privati mancavano le offerte, e, finita l’euforia, i prezzi si dimezzarono quasi di colpo. La capitale unita non attirava imprese, e nuovi berlinesi, a parte i politici. E quanti investirono i risparmi nei fondi immobiliari nella ex Ddr, perché erano in tutto o in parte esenti dalle tasse, persero buona parte del capitale. Ma la situazione oggi è diversa, scrive la WitschaftsWoche, il più autorevole settimanale economico tedesco.La febbre del mattone continua a salire. I tedeschi hanno investito nell’immobiliare nel 2018 il doppio rispetto a dieci anni fa, dai 260 ai 270 miliardi di euro, i dati non possono essere precisi, da dieci a quindici miliardi in più rispetto all’anno precedente. Nel 2009, per case e terreni edificabili, si investirono appena 130 miliardi. Secondo le previsioni, quest’anno si potrebbe superare quota 300 miliardi. Gli interessi per i mutui rimangono bassi e i tedeschi sono invogliati a comprare casa. Fino a ieri preferivano vivere in affitto perché l’offerta superava la domanda. E ne hanno approfittato gli stranieri, in prima linea gli italiani.
Non ci sono segni di saturazione, anche se bisogna stare attenti a dove si compra, e che cosa. A Francoforte, in previsione della Brexit, è già cominciato l’esodo da Londra, e non si trova quasi più nulla di conveniente. I prezzi a Monaco o a Amburgo sono al livello delle capitali europee. A Berlino, lo abbiamo già scritto, si propone di espropriare le grandi imprese immobiliari che speculano sui prezzi a danno dei giovani. Ma l’esproprio, pur a prezzi imposti dalle autorità, costerebbe una cinquantina di miliardi. L’effetto (come doveva essere prevedibile) è stato di fermare per prudenza il mercato. Si continua a costruire ma appartamenti di lusso e uffici. Nel mio quartiere di Charlottenburg, a Berlino, non c’è una via dove non ci sia almeno una casa, o due, in ristrutturazione. Si cacciano i vecchi inquilini e si raddoppiano gli affitti. Una piazzetta ottocentesca è scomparsa per far posto a un palazzone di otto piani, da 4.500 a 5.500 euro a metro quadro, due anni fa. È tutto venduto. Ma il terreno apparteneva al comune che, in perenne rosso, ha preferito speculare.
In meno di dieci mesi si sta per completare un altro gigantesco complesso lungo la ferrovia. Sui due lati dei binari che attraversano la metropoli su un terrapieno, resta per lunghi tratti una doppia striscia verde. Ma va scomparendo sotto il cemento. E anche questi terreni sono statali. A Berlino, in cerca di zone, si vorrebbe edificare sui Schreibengarten, le parcelle di cento metri quadrati dati in uso ai cittadini che vogliono coltivare un piccolo orto (in teoria sarebbe vietato piantare fiori e abitare nelle baracche, che diventano invece sempre più accoglienti). Al posto del verde si potrebbero creare abitazioni per almeno 150mila abitanti. Ma c’è stata una sollevazione popolare contro la proposta, i giardinetti fanno parte della storia della città. Manca il terreno, e si alzano minigrattacieli, come innanzi alla stazione dello Zoo, all’ovest, oppure abbattendo parte della East Side hallery, il tratto di muro superstite rimasto all’Est. Il governo dovrebbe rilanciare l’edilizia sociale dimenticata da vent’anni. Servirebbero almeno 200mila appartamenti all’anno, in tutto il paese, anche per accogliere i profughi.