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 2019  aprile 18 Giovedì calendario

È morto Massimo Bordin, l’unico che sapesse tener testa a Pannella

Capitava, la domenica sera, di rientrare in macchina coi figli al seguito. E, come mi rendevo conto che fosse l’ora giusta, cambiavo canale alla radio imponendo a tutti, fra le proteste di mia moglie, la conversazione di Marco Pannella con Massimo Bordin. Solo se c’era Bordin, ovviamente. Perché a me, lo confesso, interessava molto il direttore poi ex-direttore di Radio Radicale, l’unico che a Giacinto detto Marco, tenesse testa. Perché lo riportava a ragionare di politica quando l’altro magari, grandissimo affabulatore, si innamorava delle sue parole. O così almeno pareva.Ora che Massimo Bordin è morto, presto troppo presto, perché era del 1951, tocca qui ripetere la frase di circostanza: «Mancherà Bordin». Certo che mancherà, perché le sue rassegne stampa, la mattina su Radio Radicale (quella radio prossima allo spegnimento per volontà governativa ché, dice, «c’è già Gr Parlamento») le sue rassegne, dicevo, erano un bagno di intelligenza e di ironia. E di onestà intellettuale.
Sulla giustizia, poi, non c’erano sconti, neppure quando il giustizialismo e il sentimento forcaiolo andavano per la maggiore, cioè sempre da Tangentopoli in avanti: sulla difesa della politica dalla supplenza pelosa dei magistrati, Bordin infatti non mollava; sui teoremi delle Procure neppure; sulle interpretazioni talvolta ardite del Codice, neanche.
Ormai cinque anni fa, mi capitò anche di intervistarlo per ItaliaOggi. In coda a un’analisi acutissima del presente, si era in vista delle elezioni del presidente della Repubblica, gli chiesi di riparlare un po’ di Radio Radicale, ripercorrendo la stagione di «radio parolaccia», di quando cioè, nel 1986, per giorni, l’emittente di Largo Torre Argentina, aprì i microfoni senza filtri e attaccò la segreteria telefonica, per una creativa protesta pannelliana dinnanzi al rischio chiusura per mancanza di fondi. Il ventre del Paese parlò e mise paura. «Fu una previsione, con metodo del tutto originale, di quello che stava per succedere», mi disse Bordin in quella chiacchierata «allora il linguaggio, specialmente quello della politica, era più paludato. E quella esperienza dette elementi utili a capire a come si sarebbe arrivati ad avere certi personaggi in Parlamento. Allora nessun poteva pensare che un Antonio Razzi potesse diventare deputato e che lo stessero pure a sentire. Da quelle segretarie telefoniche si capiva come il Paese stesse cambiando». Mancherà Bordin, certo che mancherà.