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 2019  aprile 18 Giovedì calendario

L’orso marsicano minacciato

Forse nei prossimi cento anni l’orso marsicano non abiterà più le montagne dell’Appennino centrale che gli appartenevano da milioni di anni: i suoi individui saranno decimati fino all’estinzione e i suoi habitat ridotti a giardinetti privi di senso. Sarà una perdita incolmabile e irreversibile che le future generazioni ci rimprovereranno per sempre. Sarà l’ennesima dimostrazione di supponenza di una specie prepotente che a torto si è autodefinita sapiens. Ma è un destino che possiamo ancora evitare.
L’orso marsicano (Ursus arctos marsicanus, identificato nel 1921) è una “specie-ombrello”, perché ha bisogno di ampi habitat naturali e di grandi spazi, dunque garantirne la sopravvivenza significa garantire la buona salute e l’integrità di grandi fette di territorio, proteggendo anche altre specie. È anche una “specie-critica”, visto che espleta una seria di funzioni fondamentali per l’intero ecosistema e dunque anche per tutti gli altri viventi. Infine è una “specie-bandiera”, perché amato dalle persone e dai turisti e catalizzatore di interesse. Capendo questo si potrà anche comprendere che la sua sopravvivenza vale bene il prezzo di una pista da sci in meno, di un altro albergo in montagna o di un’ulteriore, inutile strada. Già in Appennino si scia un solo mese all’anno, davvero non c’è bisogno di nuove ferite nel manto boscoso per infrastrutture che rimangono poi inutilizzate la gran parte dell’anno, ma che facilitano l’accesso in aree che debbono restare selvatiche.
L’orso è un magnifico animale onnivoro, ma la sua dieta è per l’80% vegetale e per il restante 20% fatta di insetti e miele. Capita che mangi carcasse di animali e anche che predi pecore o galline o altri ungulati selvatici, soprattutto durante la fase di iperalimentazione precedente il letargo invernale. Ma in quantità esigue. E’ notturno e solitario e tanto basterebbe per farne una specie con cui i sapiens possano convivere senza drammi o patemi. Eppure, dopo essere stati massacrati per secoli, ci sono ancora oggi uomini che li uccidono mettendone in pericolo la stessa sopravvivenza. Su una quarantina di individui attualmente presenti nel Parco, ci saranno forse 4 o 5 femmine soltanto che si riproducono ogni anno. La morte di un orso marsicano (in genere per avvelenamento) non riguarda solo gli animalisti, tocca, invece, tutti i cittadini ed è legata alla medesima logica: speculazione edilizia, presunto “sviluppo”, insofferenza ai vincoli di protezione ambientale, caccia di frodo o semplice vandalismo. La perdita anche di un solo esemplare porta, di fatto, l’intera specie, sull’orlo dell’estinzione. Siccome la perdita di una specie è per sempre, si tratta di un danno irrimediabile, molto di più della distruzione di un pezzo del patrimonio artistico e monumentale del Paese. 
C’era una volta
Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che comprende gran parte della Marsica, nasce, nel 1923, soprattutto per tutelare l’orso e il camoscio, due specie che, fino a quel momento, erano state cacciate fino all’inverosimile. Gli allevatori di bestiame, in particolare, si armavano o raccomandavano ai cacciatori di uccidere gli orsi: se non ci fosse stata la Prima Guerra Mondiale gli orsi d’Abruzzo sarebbero spariti del tutto. Eppure, un tempo, erano diffusi in tutto il territorio montuoso d’Italia, come testimoniano le decine di toponimi che contengono la parola orso, dalle Alpi alla Calabria. Oggi ne restano solo tre gruppi, di cui due nelle Alpi, però di orsi bruni comuni, diversi da questi abruzzesi. 
Tra le argomentazioni che convinsero il regime fascista a fondare il parco, si sosteneva che la presenza di uomini e armenti non disturba gli altri animali, visto che gli orsi sono abituati da secoli a sentire altre voci nella foresta. Si sosteneva che l’orso è «una brava bestia che non pensa normalmente che ai fatti suoi», e anche i pastori marsicani portavano sempre in tasca un pezzo di pane per gli orsi (poi diventato il dolce di Scanno, il “Pan dell’orso”), anche se sparavano ai lupi.
In queste settimane gli orsi scendono a valle ripristinando quella vera e propria simbiosi con la foresta vetusta di faggio, residuo della foresta primigenia italiana che ricopriva tutta la penisola. L’orso è un essere magico, quasi divino: la ninfa dell’Arcadia Callisto fu trasformata in orsa per avere trasgredito il suo voto di castità. Peraltro lo tradì con Zeus, che, dopo averne approfittato, non impedì che fossa punita dagli dei. Per farsi perdonare, però, la trasformò in costellazione. E in cielo abbiamo almeno due orse, una maggiore e una minore. L’orso ci assomiglia parecchio, per questo lo inseriamo nel mito: abbiamo iniziato insieme la nostra parabola da animali a dei, solo che, fortunatamente, lui si è fermato per tempo.