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 2019  aprile 18 Giovedì calendario

Il ritorno di Bret Easton Ellis

Bret Easton Ellis non è nuovo alla cattiva pubblicità. Fin dal suo esordio con Meno di zero, nel 1985, che lo trasformò in un fenomeno letterario, la sua narrativa violentemente nichilista e il suo personaggio pubblico politicamente scorretto gli hanno attirato indignazione e acclamazione in parti uguali. E dopo tre decenni, altri cinque romanzi e una raccolta di racconti, Ellis ha ancora qualcosa da dire. Ieri ha pubblicato il suo primo libro da nove anni a questa parte: una raccolta di saggi intitolata White. Non tutti lo apprezzeranno, ma a lui non importa. «Mi sento molto rilassato al riguardo», dice. «È un po’ un libro per collezionisti di Bret Easton Ellis». Per quelli che non lo sono, rinfreschiamo un po’ la memoria: il successo (non unanime) del suo romanzo d’esordio del 1985, che raccontava le bravate amorali di adolescenti losangelini ricchi e scontenti, trasformò il ventunenne scrittore al terzo anno del college in una presenza fissa della scena sociale newyorchese, fotografato ovunque, dagli Mtv Movie Awards al nightclub Nell’s a Manhattan, spesso insieme al suo amico Jay McInerney. Ricorda il suo appartamento nell’East Village, all’epoca, come un «covo di scelleratezze cocainiche». I critici lo definivano un enfant terrible, i fan dicevano che era il simbolo della sua generazione. Fu durante quegli anni di dissipatezza che Ellis scrisse il noir newyorchese American Psycho su un finanziere ventiseienne crudelmente materialista, che ha un tracollo mentre si dedica patologicamente a commettere truculenti stupri e omicidi. L’indignazione collettiva per American Psycho fornisce lo sfondo per i saggi contenuti in White, che parlano degli argomenti più vari, dall’infanzia non vigilata di Ellis negli anni ’70, nel quartiere agiato di Sherman Oaks, a Los Angeles, alle sue critiche di film e star del cinema, fino al presidente Trump.
Nell’ultimo decennio, Ellis, che ha 55 anni, ha fatto notizia più per le sue dichiarazioni poco diplomatiche che per la sua produzione creativa. C’è stato quel tweet del 2013 – «Kathryn Bigelow sarebbe considerata una cineasta moderatamente interessante se fosse un uomo, ma essendo una donna molto sexy è assolutamente sopravvalutata» – che scatenò un vespaio tale da costringerlo a presentare scuse formali sul Daily Beast. Si è lamentato dei liberal che lo considerano un apologeta di Trump, poi ha difeso le simpatie destrorse di Kanye West. È stato definito razzista per aver sostenuto che il film Black Panther era stato fatto in ossequio alla «mania per la diversità» di Hollywood. «Negli ultimi tempi la cosa che mi infastidisce è il mondo dei tweet e il fatto che lì, non essendoci nessun contesto, nessuna sfumatura, ed essendo tutti super isterici, ti appiccicano etichette che non ti rappresentano», dice Ellis. «La polizia del linguaggio è una cosa difficile da sopportare se sei un creativo». Vorrebbe davvero che tutti si dessero una calmata.
Lui, per certi versi, una calmata se l’è data. Davanti all’ascensore nel suo condominio di West Hollywood, con in mano un sacco della spazzatura da portare giù, quest’uomo alto e dai capelli argentati, con indosso una polo consunta, sembra lontano anni luce dal protagonista della scena mondana sempre pronto a provocare che era un tempo. «Ormai non vado quasi più alle feste», dice. «Ho superato quella fase». Ha superato anche il suo fatalismo giovanile riguardo agli eventi correnti: ora preferisce trattare le notizie come una forma di intrattenimento fugace, invece che come la fine del mondo («Sul serio, Jared Kushner è uno schianto in costume da bagno»).
Questa frivolezza sembra un’estensione del tono disincantato che attraversa tutto White, dove la politica è trattata come semplice foraggio per soliloqui stilizzati. Ellis ha tenuto a sottolineare che non ha votato per Trump, e che anzi aveva messo in guardia fin dal principio dal pericolo che rappresentava in quanto capitalista famoso. Nel periodo in cui scriveva American Psycho, ricorda, «a Wall Street tutti leggevano L’arte di fare affari, e Trump mi inquietava a tal punto che decisi di farne la figura paterna di Patrick Bateman, il protagonista del libro». Il distacco non è semplicemente un abito mentale per Ellis, è il suo mantra artistico. «Neutralità, distanza, riserbo: sono le cose in cui ho sempre credito, la mia guida estetica», dice. White non fa eccezione: «Ho affrontato questo libro come ho affrontato i romanzi, in modo letterario. Volevo che desse la sensazione di essere quasi insieme a questo personaggio, questo narratore che è me, ma per certi versi non è me».
Tuttavia, a differenza dei suoi romanzi, sottolinea, White «non è mai stato immaginato come uno sforzo per calarsi a fondo dentro qualcosa. L’ho pensato come qualcosa di frivolo, molto legato al presente. Sono in una fase positiva della mia vita, nel senso di fregarsene veramente», dice. «È una libertà non preoccuparsi di quello che la gente pensa di te. Non preoccuparsi se sei attraente, non preoccuparsi dei fardelli del sesso». In questo momento Ellis sta con un musicista di 32 anni di nome Todd Schultz. È la relazione più lunga che abbia mai avuto. Il loro corteggiamento, che è cominciato dieci anni fa a un ricevimento dove Schultz era il fidanzato del padrone di casa (Ellis: «Io ero l’Angelina della situazione»), ha messo fine a quelli che lo scrittore chiama i suoi «anni da scapolo equivoco». Definisce la sua famiglia post-2016 come «una sitcom scadente con un vecchio cinquantenne scontroso, che è una sorta di centrista liberal non osservante, e il mio fidanzato gay e comunista».
In contrasto con i timidi accenni omoerotici dei suoi primi romanzi, scritti quando non aveva ancora reso pubblica la sua omosessualità, i riferimenti al suo partner sembrano quasi lo sketch di un comico. Se Schultz fa la parte del millennial melodrammatico e ossessionato dai media, Ellis si identifica come «il vecchio seduto sulla veranda» che piagnucola sulla profondità culturale dei decenni passati. Nonostante le sue pose da reliquia annoiata di un’epoca meno indignata, Ellis trasuda lo stesso spirito giovanile che ha sempre avuto: uno spirito di irriverente divertimento, tranquilla ironia, indefessa curiosità artistica. È l’incarnazione vivente di come, tra il mondo predigitale del 1985 e oggi, sia cambiato tutto e al tempo stesso non sia cambiato nulla. E metterci di fronte all’assurdità di quel mondo in tutta la sua arcigna severità, la sua comicità e la sua bellezza plastica è stata l’opera di una vita per Ellis. Ma lui non vuole che ci arrovelliamo troppo su tutte queste cose. Per Ellis la letteratura, Twitter, la politica, le relazioni, la vita stessa, nulla di tutto questo dev’essere preso troppo sul serio. «Godetevela! Interessatevi al mondo, scavate a fondo», consiglia. «Ma non trasformate tutto quello che scrivo in uno spot di pubblicità progresso».
©2019 The New York Times
(Traduzione di Fabio Galimberti)