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 2019  aprile 18 Giovedì calendario

I miliardi americani per la farmaceutica che rischiamo di perdere

Nei prossimi 6 anni, il settore farmaceutico prevede di investire oltre mille miliardi di dollari nella ricerca e lo sviluppo in tutto il mondo, e metà di questi soldi arriveranno dagli Usa. L’Italia sarebbe una delle destinazioni preferite, perché possiede strutture e conoscenze adatte ad attirare le nuove risorse, ma rischia di perdere il treno se non farà alcune riforme. Di queste opportunità si è discusso il 2 aprile scorso, durante una conferenza tenuta a Roma con la collaborazione dell’ambasciata americana. Il vice premier Luigi Di Maio doveva aprire i lavori, ma alla fine il Mise è stato rappresentato dal vice capo di gabinetto Elena Lorenzini e dal direttore generale per la lotta alla contraffazione Amedeo Teti. Il ministro della Sanità Giulia Grillo doveva chiuderli e aveva confermato, ma poi ha cancellato.
L’incontro era intitolato “Valorizzare la ricerca, investire nella vita – Il brevetto farmaceutico in Italia”. È stato organizzato dall’Italian American Pharmaceutical Group (IAPG), con l’ambasciata Usa e l’American Chamber of Commerce. «La sfida di oggi – ha detto l’ambasciatore Lewis Eisenberg – è portare nuovi farmaci ai pazienti, garantendo allo stesso tempo la sostenibilità del sistema sanitario globale. Affinché l’innovazione possa svilupparsi, è fondamentale per l’industria avere un contesto regolatorio e lavorativo fortemente basato sulla trasparenza e la certezza delle regole. È più che mai importante creare e preservare un ambiente favorevole all’innovazione».
Fabrizio Greco, presidente dello IAPG, ha spiegato che «le aziende farmaceutiche italiane a capitale americano, che operano nel nostro paese dal 1949, hanno un fatturato di 8,1 miliardi di euro, di cui un terzo destinato all’export. Impiegano 13.000 dipendenti, oltre a 13.000 posti nell’indotto, e hanno fatto 2 miliardi di investimenti in R&S negli ultimi 5 anni. Vogliamo confermare e rafforzare questa presenza». Quindi ha aggiunto: «Per consentire tale crescita occorre aprire un dialogo costruttivo con le istituzioni, per individuare insieme politiche che migliorino i tempi e le condizioni di accesso delle terapie innovative, e garantiscano il rispetto della tutela brevettuale, evitando approcci esclusivamente economicistici che promuovano un’equivalenza terapeutica non basata su criteri scientifici».
Il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, ha ricordato che «l’industria farmaceutica in Italia è uno dei settori trainanti dell’economia. Con 32 miliardi di produzione, di cui l’80% destinato all’export, il nostro Paese è il primo in Europa. Anche nella ricerca e sviluppo le imprese del farmaco danno un importante contributo: studi clinici per 700 milioni di euro nel 2017; collaborazioni con Università e istituti pubblici di ricerca; 1,5 miliardi di euro investiti in R&S solo nel 2017. Considerando gli investimenti previsti, l’Italia può e deve migliorare la propria attrattività. Siamo già l’hub europeo per la produzione, vogliamo diventarlo per lo sviluppo di nuove terapie».
Greco però sottolinea che «lo scenario farmaceutico italiano risente del contenimento della spesa. Quella ospedaliera è sotto finanziata per oltre 2 miliardi, e ciò crea pressione soprattutto sui farmaci più nuovi. In prospettiva della revisione della governance farmaceutica, vorremmo condividere il più possibile le opportunità e i potenziali rischi». Ad esempio quelli che corre il brevetto, «perché in questo contesto di pressione sui costi, una delle aree su cui si ragiona è quella della equivalenza terapeutica tra farmaci diversi. Il pericolo è che le valutazioni non vengano fatte in maniera assolutamente scientifica». L’aiuto che il governo potrebbe dare per rendere l’Italia più attraente si concentra su tre aree: «Primo, si può fare una migliore distribuzione delle risorse disponibili. Oggi il segmento della spesa farmaceutica convenzionata ne ha più del necessario, mentre il segmento ospedaliero ne ha meno. Secondo, bisognerebbe accelerare e completare le norme sulla sperimentazione clinica. Terzo, evitare che le pressioni economiche mettano a rischio la valutazione di equivalenza terapeutica tra farmaci diversi, e soprattutto la tutela del brevetto». Senza questo, l’Italia diventerebbe molto meno attraente per gli investitori, e rischierebbe anche la fuga di molte compagnie farmaceutiche.