la Repubblica, 18 aprile 2019
Che cos’è l’Ajax
Ghigliottina come Robespierre, corre più di Bolt, pensa (in libertà) come Spinoza. L’Ajax che avanza in Europa e decapita teste coronate, blocca il Bayern, elimina Real e Ronaldo Mister Champions, è una lama tagliente anche per la Juventus. Ritmo, personalità, qualità di corsa. Nessuna sottomissione culturale: il gol subìto non è una lettera scarlatta da cucirsi addosso, ma solo un’onda sbagliata. Così come il peccato (meno talento ed esperienza) non è mortale e nemmeno da penitenza. Se Ronaldo fa il gol 126 in 162 gare di Champions con il record di 25 reti in 22 presenze nei quarti, nessuno nell’Ajax mette il broncio o s’inchioda alla croce. Questione di feeling, ma anche di scarsa negoziazione alla ritirata. Se il motto della casa è Poot vooruit, «piede in avanti» ci sarà un motivo. Ragazzi, irruenti, puledri selvaggi: De Ligt 19 anni, più giovane marcatore olandese del torneo a eliminazione diretta, De Jong e van de Beek 21, Neres 22, Onana, il portiere 23. Tutto vero, lì al futuro non gli dice: siedi e aspetta il tuo turno, ma vai e realizzati. Anche van Gogh venne spedito in campagna, e lui a Nuenen si mise a dipingere non il bello, ma il vero: contadini che mangiavano patate. Ma la gioventù non spiega il sangue freddo, la lunga tenuta atletica e mentale ( l’Ajax ha iniziato la Champions dai preliminari di luglio), la maturità agonistica, quell’assenza di paura e di fantasmi che di solito spaventa i bambini. L’Ajax è baby, nessuno ha la sua precocità, 25.1 l’età media, ma ha la sicurezza dei grandi. Non si spolmona per il gusto di correre, lo fa con freddezza, senza pazzia, tiene in mano il rasoio da maestro, non da apprendista. È questo che colpisce: la sua lucidità collettiva. Esiste nel paese una propensione alla velocità, allo scatto breve, una cultura della reattività. Come spiega Jacco Verhaeren, ex ct del nuoto: «Curiamo la qualità, non la quantità. Non cerchiamo a tutti i costi di raddrizzare l’atleta, anche un difetto può aiutare a completare il disegno, lavoriamo per stabilizzare il controllo dei muscoli, monitoriamo le variabili dello stress, per capire se è troppo o poco». E infatti l’Olanda in tutti gli sport è terra da sprinter: da Inge de Bruijn, 4 ori olimpici nel nuoto (stile libero e farfalla), a Ranomi Kromowidjojo, 3 ori olimpici, anche lei un razzo in acqua, al pattinaggio di velocità su ghiaccio dove gli arancioni sono leader e Sven Kramer un accumulatore seriale di titoli. Il guizzo, il ritmo, quel movimento a luogo, è nel dna non solo calcistico. Tanto che Peter Post alle «Sei Giorni», fece impazzire tutti, vincendone ben 65, per poi inventare alla Rinus Michels «il ciclismo totale» dove la squadra non era piramidale, ma in gara si aiutava il compagno più in forma (non quello con lo stipendio più ricco). Non è il vasto serbatoio e l’ampia capacità di scegliere a fare la diversità della formazione di Erik Ten Hag, 49 anni, allenatore calvo, ma dagli occhi profondi, allievo di Guardiola (al Bayern Monaco), ma estimatore di Trapattoni. Roma, Milano e Napoli hanno insieme più della metà della popolazione dell’Olanda (17 milioni). E se adesso si parla di calcio capolavoro, è bene ricordare che la nazionale arancione agli ultimi mondiali non c’era (come l’Italia), che l’Ajax non accedeva alle semifinali dal ’97, mentre il Psv ci è arrivato nel 2005. Questo Ajax che torna dopo 22 anni, ha saputo far invecchiare le sue acerbità, senza umiliarle, dando loro concretezza. Nessuno è solo lì davanti, ha sempre un compagno accanto, non c’è anarchia, ne irresponsabilità, ma velocità di testa e di memoria, in una squadra che vale 400 milioni e che finora ha sempre venduto i suoi gioielli nella convinzione che conta raffinare prima la mente dei piedi. Lo sbaglio? Considerarli bambini che giocano da grandi. Rivoltosi che mirano al potere. Nella loro testa sono già al comando.