Corriere della Sera, 17 aprile 2019
All’alba di un mondo nuovo, il libro di Angelo Panebianco e Sergio Belardinelli
Siamo consapevoli del fatto che le analisi e le interpretazioni presentate nel nostro libro All’alba di un mondo nuovo (il Mulino) potrebbero prestare il fianco all’accusa di avere proposto un quadro eccessivamente fosco delle condizioni dell’Europa. Non ignoriamo affatto che il Vecchio continente disponga tuttora di grandi risorse ed energie. Se ci si guarda intorno in Europa non se ne contano solo gli acciacchi e le rughe, si scorge anche tutto ciò che invita ad avere fiducia nel futuro.
Pur consapevoli di ciò, abbiamo scelto di evidenziare soprattutto problemi, aspetti critici e rischi. La complessità dei processi storici è tale che non è dato mai di sapere in anticipo se lo studioso delle vicende sociali e politiche, rendendo pubblici i risultati del suo lavoro, stia contribuendo a peggiorare o a migliorare le situazioni da lui descritte. Si può solo sperare che risulti vera la seconda eventualità.
Se religione e processi culturali sono l’oggetto del contributo di Belardinelli, e se le dinamiche politiche lo sono di quello di Panebianco, al lettore non dovrebbe sfuggire il fatto che i due saggi condividano la stessa prospettiva.
Max Weber, seguendo i suoi maestri neokantiani, parlava di «relazione al valore»: grazie a essa l’osservatore dei fatti della storia è in grado di dare un senso ai dati raccolti e indagati. La relazione al valore implica, insieme, una scelta valoriale e un’opzione metodologica. Nel nostro caso, valori e metodologia convergono dando luogo a una piattaforma teorica che possiamo definire «realismo liberale».
Condividiamo, in primo luogo, l’idea che la civiltà liberale, con i suoi principi, le sue istituzioni, le sue regole, sia il più importante «dono» dell’Europa moderna al mondo. Per entrambi, si tratta del frutto maturo della tradizione cristiana. È nata in Europa, e poteva nascere solo in Europa, proprio in ragione delle sue origini cristiane. La civiltà liberale non ha mai trovato piena realizzazione, nemmeno nella sua culla europea. L’Europa resta ben lontana dall’avere dato compiuta attuazione a quell’insieme di ideali e istituzioni. Tuttavia, pur con tante e gravi imperfezioni e limiti, l’Europa – unitamente a quel mondo occidentale che ne è una diretta filiazione – ha dato comunque vita, ispirandosi a quegli ideali, a società più vivibili di altre, ove «libertà» e «dignità» non sono solo parole vuote.
Concretezza
Non si possono eliminare
del tutto i conflitti e le ingiustizie ma si può fare moltissimo
per alleviarne gli effetti negativi
Condividiamo la tesi di quei filosofi secondo i quali, nell’età moderna, solo un ordine liberale può diventare un ordine politico legittimo, sostenuto dall’approvazione e dal consenso dei più.
La seconda fondamentale componente della prospettiva che ci accomuna è il realismo. Nel realismo sono presenti due dimensioni (inestricabilmente connesse), una normativa/prescrittiva e una descrittiva/interpretativa. Sul piano normativo, realismo non significa affatto, come troppi ancora credono, «cinismo». Implica invece (e al contrario) l’idea che solo osservando la realtà per come essa è, e non per come ci piacerebbe che fosse, si possono evitare fughe nell’irresponsabilità. Inteso dal punto di vista normativo, il realismo comporta responsabilità verso gli altri, significa non eludere i problemi, non voltare le spalle di fronte alla loro durezza, non illudersi né illudere che le soluzioni siano tutte semplici e tutte a portata di mano. Normativamente parlando, il realismo, insomma, è una forma di moralità.
Ma il realismo ha anche una dimensione descrittiva e interpretativa. Applicato ai fatti umani comporta che non si chiudano gli occhi di fronte a tutti quegli aspetti della realtà che talvolta si tende a considerare solo brutture e aberrazioni, ma che sono, invece, molto umani. Aspetti che appartengono più alla fisiologia che alla patologia del vivere sociale. Ci riferiamo all’incessante competizione per il potere a cui danno vita fra loro gli uomini e le donne, alle gerarchie sociali, spesso contestate, che sono proprie degli aggregati umani, con la loro faccia luminosa (il contributo che tali gerarchie danno al mantenimento dell’ordine sociale) e la loro faccia oscura (le iniquità e le ingiustizie che vi sono spesso associate). Lotte potestative, competizione per risorse scarse, conflitti per lo status, scontri fra differenti identità collettive assumono, purtroppo, con grande frequenza, nella storia umana – e per quel che qui ci riguarda nella storia d’Europa – modalità violente di espressione. Descrivere nel modo più obiettivo possibile i continui conflitti (violenti e non) e indagare sulle loro cause, materiali e spirituali, sono i compiti principali dello studioso di ispirazione realista.
Attingendo al patrimonio di principi, idee e istituzioni liberali non è possibile sopprimere i conflitti né rimediare per sempre alle ingiustizie (queste sono possibilità precluse agli esseri umani). Se ne possono però attenuare le conseguenze più negative, si possono rendere meno aspri i modi delle lotte fra persone e gruppi, si può fare leva su quei principi, idee e istituzioni nella speranza di renderne meno distruttivi gli esiti.
Se ci guardiamo intorno, sul piano politico, culturale o religioso, tutto sembra dirci che stiamo assistendo all’alba di un mondo nuovo, del quale nessuno può prevedere quali saranno i precisi contorni. Molto dipenderà dal realismo con il quale la nostra e le generazioni che seguiranno sapranno affrontare le sfide che incombono. È anche questo un modo per rimanere fedeli agli ideali della civiltà europea.