ItaliaOggi, 17 aprile 2019
Periscopio
Con due vicepremier ai ferri corti facciamo l’uncinetto. Uffa news, Dino Basili.Signora interrogativa: «Ho la nausea: o sono incinta o sono italiana?». Altan, Donne nude. Longanesi, 2011.
Dovetti scegliere fra morte e stupidità. Sopravvissi. Gesualdo Bufalino, Il malpensante. Bompiani, 1987.
Con i suoi 3 mila abitanti, Favellara è stata in tempi non lontani un feudo dei riformisti turatiani, che puntavano, come dappertutto, sugli istinti affaristici degli operai. Guido Morselli, Il comunista. Bompiani, 1976.
L’inaugurazione della nuova tratta ferroviaria tra Andria e Corato, oggi a binario unico, e sulla quale ci fu uno scontro con decine di morti, fu inderogabilmente fissata per l’agosto 2017 e poi, altrettanto inderogabilmente, per il novembre 2018. Ma il turbinio di passaggi burocratici che inchiodano ogni piccola o grande opera italiana alla famosa analisi «costi-malefici», per cui ogni valutazione va rivalutata e ogni validazione rivalidata dall’organo competente a dichiarare la propria incompetenza, ci ha portati fino alla luminosa giornata di ieri quando anziché inaugurare il doppio binario è iniziato in Corte d’assise il processo sul disastro. Massimo Gramellini. Corsera.
E vagli a spiegare, a Bernard-Henry Lèvy, che Battisti non vide gli accusatori e i giudici perché si era dato alla latitanza a Parigi prima dei processi. Voi capite perché siamo curiosi marci di conoscere il suo illuminato parere sulla confessione di Battisti. In particolare su quel passaggio in cui il pluriomicida si fa beffe dei suoi fan italo-transalpini che l’avevano scambiato per un intellettuale: «Gli appoggi di cui ho goduto sono stati il più delle volte di carattere politico, rafforzati dal fatto che io ero ritenuto un intellettuale, scrivevo libri, per cui nessuno sentiva il bisogno di agire contro di me. Questo mio ruolo da intellettuale era una precisa garanzia che, a prescindere dal mio passato, ero una persona non più pericolosa e quindi, anche per questo motivo, nessuno mi ha dato la caccia». In effetti, in certi ambienti, la patente di intellettuale è più accessibile di quella del motorino. Basti pensare che passa per un intellettuale persino Bernard-Henri Lèvy. Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano.
Tra gli uomini di mondo come Monti (sempre in loden, giacca, cravatta, capelli composti) l’etichetta è valore di fondo. Ma anche nei corridoi di Bruxelles e nelle aule di Strasburgo le apparenze sono sostanza. Senza rispettarle, non si va da nessuna parte. È questo il messaggio continuo che il professore comunica nei suoi bla bla televisivi. Giorni fa, ha detto con sarcasmo che per il governo è arrivata «l’ora Tsipras». Ossia la resa dei conti con la cricca di Jean-Claude Juncker che piegò il premier greco, il quale si era inizialmente comportato da Rodomonte. A giudizio di Monti, ora tocca a noi, colpevoli di non esserci genuflessi. Giancarlo Perna, saggista politico. LaVerità.
Il desiderio degli ex comunisti di tagliare tutti i ponti col passato, nella speranza di poter accedere al potere per via democratica, ha poi attenuato la centralità del discorso sulla Resistenza. Romolo Gobbi: «Il mito della Resistenza». Rizzoli, 1992.
Il rapporto di Giulio Anselmi con il cardinal Siri fu sempre assai conflittuale. Il porporato era considerato un conservatore fra i più retrivi. Venuto a sapere che il giovane Anselmi leggeva L’Espresso, ne fu addolorato come se lo avesse scoperto a trastullarsi con le rivistine porno. Vietò al quasi figlioccio, nel frattempo fattosi giovanotto, di comprarsi l’automobile e persino il televisore. I due si riconciliarono soltanto dopo che l’arcivescovo rinunciò al governo della diocesi di Genova per raggiunti limiti di età. Anselmi andò a salutarlo. Lo trovò con uno scialletto sulle spalle, tipo la mamma mummificata di Norman Bates in Psyco. «Sua eminenza non è più la stessa persona, credo che non preghi nemmeno più», gli confidò il vecchio Ugo, che era stato per una vita l’autista di Siri. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio, 2014.
Anche gli italiani, e non solo i greci, sono stati trattati da Bruxelles come scolaretti che avrebbero dovuto fare meglio i loro compiti, imitando i più maturi compagni di classe nella grande aula scolastica dell’Europa. È vero. Anch’io, come la componente più «ortodossa» e radicale dell’europeismo italiano, ero convinto (e continuo a pensare) che soltanto il «vincolo esterno» possa obbligare l’Italia a correggere i suoi vizi. Ma riconosco che certi atteggiamenti di Berlino e Bruxelles hanno creato un malumore nazionale di cui populisti e sovranisti si sono impadroniti per conquistare una parte consistente della opinione pubblica nazionale. Federico Fubini. Per amor proprio – Perché l’Italia deve smettere di odiare l’Europa (e di vergognarsi di se stessa). Longanesi, 2018.
Giro di Lombardia. La mia prima nota è un lamento. Olona, mater mestissima. Scavalchiamo il mio fiume natio con la sensazione di calpestare una biscia già morta. Livide schiume vanno bulicando fra le due rive fervide e rugginose. Parabiago è un punto imprecisato d’una periferia che ricorda moltissimo Tokyo (e io che sono giunto a strillare un taxista incapace di raccapezzarsi, pover nano d’un giapponese!). Il cielo è chiuso e terso. Un vento gelido spira dall’Est. Batto i denti e maledico al mestiere dannato, alla levataccia antelucana, al contatto radio che ripete ossessivo e lagnoso il verso notturno del gufo. Gianni Brera, Il principe della zolla. Il Saggiatore. 1993.
Vincenzo Cardarelli non l’ho mai visto senza cappotto: l’indossava in tutte le stagioni ed emanava un acuto odore di orina. Ma al «più grande poeta morente» come era stato definito da Marina Mazzacurati, o da Flaiano, si doveva perdonare tutto. Cardarelli appariva più vecchio di quanto in realtà non fosse e il suo atteggiamento superbo, astioso, faceva benevolmente sorridere. Ugo Pirro, Osteria dei pittori. Sellerio, 1994.
Appena compiuto qualche passo in direzione della terrazza, poterono udire così risate, scalpiccii: quel brusio incalzante di ogni festa che comincia. Nantas Salvalaggio, Il salotto rosso. Mondadori, 1982.
Potevo fare Dio invece che il capostazione. Ma io preferisco il capostazione, sono più tagliato. Adoro le ferrovie, gli scambi, i binari. Da bambino collezionavo i trenini Marklin. Renato Zero, cantante (Roberto Gobbi), 7.
Sei brutto e magro come i debiti. Guido Morselli, Il comunista. Bompiani, 1976.
La velleità è l’ambizione di chi non vuole abbastanza e pretende tutto. Roberto Gervaso. Il Messaggero.