Corriere della Sera, 17 aprile 2019
Siamo pelle e tecnologia
Siamo tutti Cybor in training» ha scritto in un saggio Liat Clark di Wired Uk. Per alcuni sarà un’entusiasmante premessa a un’umanità senza fatica, super intelligente, aperta ai mutamenti. Ma pensarsi in un corpo per metà di umana carne e per l’altra di silicio e parti meccaniche non è così rassicurante. Di corpi si è sempre parlato: lo hanno fatto Cartesio e Spinoza, Leonardo ci ha costruito teorie; ne hanno scritto Leopardi e Dostoevskij, Foucault, Deleuze e Bauman; sul corpo si sono espresse attiviste e filosofe femministe, da Simone de Beauvoir a Donna Haraway, Judith Butler o Luce Irigaray. Discutere del corpo è spesso un’operazione archeologica in cui si scava tra filosofie, scienze e immaginari. Quelli estetici, oltre che suggeriti dalle arti, sono nella nostra quotidianità fatta di bilance, forme, diete ed esercizi.
Riconoscersi come corpo & menteResta il fatto che proprio in un’epoca in cui ci ammantiamo di virtualità, i corpi incarnati e i corpi metaforici sono al centro dei dialoghi futuristi e delle nostre attenzioni. Anche perché le bio scienze e le tecnologie aprono a possibilità che fanno traballare l’impianto di sicurezze centenarie. Oggi è più difficile rispondere alla domanda “come stai?” perché una volta che la tecnologia ci consente di ingegnerizzare corpi, cervelli e menti, non possiamo più essere certi di nulla – comprese cose che prima sembravano fisse ed eterne.
I corpi sono l’arte che ne ha interpretato le sensazioni spaziali e la plasticità. I corpi sono la medicina e le scienze che li hanno frazionati per conoscerne i meccanismi e che li ricompongono in quella che oggi è la definizione di salute secondo l’Oms, «un completo stato di benessere fisiologico, psicologico e sociale». I corpi sono le tecnologie che da sempre hanno corretto le disfunzioni che limitano la persona e che ora non si accontentano di riparare i limiti ma interagiscono per aggiungere nuove funzioni. I corpi sono le neuroscienze che osservano come lavora il cervello quando svolgiamo semplici compiti di percezione, memoria o movimento e quando siamo impegnati in attività più complesse, come prendere decisioni o fare ragionamenti.
Il corpo siamo noi. Alla lettera. Un vociare articolato fatto di storia individuale e di storia collettiva in cui natura e cultura si compenetrano costruendo il sistema di relazioni tra gli organi e i pensieri e le emozioni. Percepiamo, comunichiamo, desideriamo e conosciamo con il corpo.
Indagare su sé stessi (e gli altri) Il corpo e i corpi individuali e sociali saranno il focus dell’inchiesta che ci accompagnerà fino a settembre verso il Tempo delle Donne. Sempre più laboratorio di idee che attraverso inchieste, incontri, academy, momenti musicali, ospiti e performance si interroga e racconta come stiamo cambiando. Nell’edizione di quest’anno, dal 13 al 15 settembre alla Triennale di Milano, parleremo del corpo e con il corpo, cartina di tornasole attraverso la quale leggere chi siamo e chi stiamo diventando.
«Il corpo costituisce oggi un’altissima posta politica, è il fondamentale analizzatore delle nostre società contemporanee», sostiene David le Breton, uno dei massimi esperti di «antropologia del corpo», docente di Sociologia e Antropologia alla Facoltà di Scienze sociali dell’Università di Strasburgo.
Le neuroscienze ci dicono che pensiamo, sentiamo e immaginiamo non solo con il cervello, ma con tutto il corpo, archivio di memorie in cui muscoli, tendini, organi, ossa, incarnano e trattengono i vissuti, le difficoltà e le soluzioni che abbiamo sperimentato. Un luogo privilegiato in cui ri-incontriamo i nostri bagagli emotivi, le persone e i contesti che ci hanno formato. Più che come un testo finito possiamo leggerlo come un palinsesto in continuo aggiornamento attraverso il quale ci rappresentiamo, costruiamo e diamo senso e significato alla nostra esistenza e ci mettiamo in relazione con gli altri. Raccontando con il linguaggio corporeo e la postura la nostra storia.
Peso e forme sembrano essere (ancora) l’incarnato in cui ci identifichiamo. La ricerca sul corpo de La27ora ci racconta che donne e uomini sono impietosi con sé stessi: per quanto «efficienti» e «sani» siano i primi aggettivi con cui entrambi si rappresentano, la bilancia resta il cruccio. L’importanza che assume il corpo è fondamentale (86%), anche se non è mai totalmente soddisfatta (solo il 60% delle persone sta bene nella propria pelle). La prova dell’insoddisfazione arriva quando ipotizziamo di modificare il corpo: le donne si vorrebbero più magre (43%) e toniche (44%), gli uomini più efficienti 26% e muscolosi (20%).
«Non si tratta più di accontentarsi del corpo che si ha, ma di modificarne le fogge per completarlo o renderlo conforme alle idee che ci si fa di esso», dice David le Breton, critico con le regole e gli imperativi che inducono a diventare inventivi e instancabili bricoleur di noi stessi. «Nelle nostre società – dice – il corpo tende a diventare una materia prima da modellare secondo l’influenza del momento».
E che succede ora che nelle connessioni tra persone la fisicità pesa sempre meno e gli incontri/scontri perdono corporeità? Come stiamo affrontando la relazione con noi stessi e con le nuove entità, robot dalle forme umane e Intelligenze Artificiali che si stanno affacciando prepotentemente nelle nostre realtà? Il cinema e la letteratura, da «Metropolis» a «Robocop» a «Blade Runner» ai diversi «Terminator» o «Matrix» al recente «Alita – angelo della battaglia» di Robert Rodriguez, ce l’hanno fatto vivere. I primi li chiamavamo fantascienza.
Ora anche la fiction è accelerata dal fatto che alcune cose stanno avvenendo davvero nella realtà. E serie tv come «Black Mirror» ci raccontano situazioni non lontane da noi. E dai nostri corpi. «Nuovi equilibri nelle forze e dunque nelle architetture, nuove forme estetiche si preparano ad apparire in tavola, nelle strade, forse perfino dentro di noi, come un corale germogliare di nuovi paesaggi e identità», scrive Maria Frega in «Prossimi umani» (Giunti). Anche mettendo da parte le iperboli sulla nostra sottomissione ai signori robot, molti sono preoccupati per l’impatto dell’intelligenza artificiale e della robotica. Un sondaggio condotto in Usa dal Pew Research Center ha rilevato che le persone sono generalmente «più preoccupate che entusiaste» di scoperte che promettono di integrare la biologia e la tecnologia, come gli impianti di chip cerebrali e il sangue ingegnerizzato.
Cyborg in formazioneL’accelerazione tecnologica ci sta mettendo di fronte ad automi coscienti e intelligenze che presto manifesteranno emozioni. «Il processo è in corso e inarrestabile, stiamo già andando fuori dal corpo, inutili le paure che le tecnologie interagendo con i corpi cambino l’umano: sarebbe meglio interrogarsi su chi sono gli umani e cosa possono fare per non distruggersi», dice Cristina Pozzi che ha appena pubblicato «2050, guida turistica per viaggiare nel tempo» (Egea) in cui, pur portandoci in un’epoca lontana abbastanza per poterla immaginare vicina per sentirsi già coinvolti, evidenzia i dilemmi etici di dati online, corpi codificati, Dna condivisi o modificati. I dibattiti in corso sono tra gli stessi scienziati dell’IA e dei robot che sostengono la necessità di mantenersi umani e i trans-umanisti, favorevoli all’uso della tecnologia per migliorare le condizioni fisiche ed estendere la durata della vita – anche attraverso il trasferimento della coscienza umana in un hardware su un cloud.
Salvatore Iaconesi, ingegnere e artista da decenni impegnato nel rendere più umana la tecnologia, quando ha scoperto il suo cancro al cervello ha lasciato l’ospedale per avviare «La Cura», una performance globale il cui obiettivo era riappropriasi del proprio corpo e della propria identità hackerando i suoi dati e creando una cura partecipata. Migliaia di persone lo hanno seguito fino all’intervento: gli è stata impiantata una matrice di elettrodi per poter costruire una mappa funzionale di ciò che controlla il cervello. Salvatore ben incarna il «cyborg in formazione». Ora, con un finanziamento del ministero per i Beni e le attività culturali, assieme alla sua compagna Oriana Persico ha dato vita a una creatura digitale, Iaqos, nata il 31 marzo e diventata «figlia» del quartiere romano di Torpignattara. «Ora il nostro piccoletto artificiale – spiegano – sta diventando un abitante del quartiere capace di stabilire relazioni con le persone, nello spazio pubblico, e di raccogliere dati in maniera non intrusiva per comprendere la società e proporre interventi costruttivi».
«La pelle non è più il confine dei corpi», dice Enrico Pozzi psicoanalista e docente di psicologia sociale presso l’università la Sapienza di Roma che ha fondato la rivista «Il corpo». «Il corpo è diventato un sistema di protesi. E non si tratta solo di sensori o device innestati sotto la pelle o di indumenti in tessuti sensorizzati. I bus e le strade sono disseminate di passeggeri aggrappati a smartphone, tablet, laptop, e-reader. Questi dispositivi sono estensioni del sé; qui registriamo i nostri dati, comunichiamo con i nostri cari e immagazziniamo momenti e ricordi in slideshow e mm3. Abbattono il limite creando una continuità spaziale del corpo che attraverso di loro è multipresente».
Tatuaggi tribali e tecnologieL’antropologia lo sa bene. L’umanità ha sempre cercato di incidere sulla sua pelle. Dai tatuaggi rituali alle performance più recenti, da Gina Pane a Marina Abramovic. In attesa che scienze, bio tecnologie e digitale facciano il loro corso c’è chi propone cambi piu radicali. Nuovi pensieri stanno concentrando sul corpo una battaglia più radicale: il ribaltamento dei corpi binari maschile-femminile dello Xenofemminismo, «una forma di femminismo tecno materialista, anti naturalista e abolizionista del genere», come scrive Helen Hester nel saggio appena pubblicato (Not-Nero). La questione che viene posta non è l’emancipazione di un genere, quello femminile, ma la demolizione dei generi per averne una moltitudine, concependo il corpo non come biologico ma come laboratorio politico. Preciado – filosofo e docente di storia politica del corpo e teoria di genere nell’Università di Parigi III, diventato con la sua transizione (da Beatrix a Paulo Beatrix) un punto di riferimento del queer e della biopolitica – dice che il corpo oggi occupa il posto che occupava la fabbrica nel XIX secolo. «La filosofia politica allora era concentrata sull’analisi dei mezzi di produzione; oggi la battaglia riguarda chi possiede i mezzi di riproduzione». Anche per il filosofo non si tratta più di giocare la parità tra i generi: «Sono e saranno proprio i progressi scientifici a mettere in discussione lo stesso concetto di generi, maschile femminile, e l’eterosessualità».
La partita da giocareOccorre un cambio di paradigma per comprendere le tante identità del contemporaneo. Al Tempo delle Donne cercheremo di capire chi siamo ancora e chi potremmo diventare. Attraverseremo le questioni della fertilità e della maternità, ci occuperemo della fluttuazione delle identità, della bellezza contemporanea. Racconteremo come sono evoluti i corpi nello sport, parleremo di body shaming e delle narrazioni su Instagram, di educazione sessuale e del tabù del piacere femminile. E approfondiremo il corpo nelle sue metafore, dal corpo del reato ai corpi celesti. Niente convegni o tavole rotonde, ma ospiti coinvolti nelle inchieste, conversazioni e performance. Musica, spettacoli. E movimento: i corpi (anche calcistici) una partita se la giocheranno.