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 2019  aprile 17 Mercoledì calendario

Intervista a Jane Goodall

Nel corso della sua lunga vita l’etologa Jane Goodall ha visto sciogliersi i ghiacci del Kilimangiaro, massacrare elefanti e rinoceronti nelle savane africane e deforestare la “sua”giungla equatoriale, quella attorno al lago Tanganika, in Tanzania, dove agli inizi degli anni Sessanta cominciò a studiare il comportamento degli scimpanzé. «Ma il mondo è profondamente cambiato anche nel Sud dell’Inghilterra, dove quand’ero bambina al tramonto si sentiva soltanto il magico cinguettio di quei passerotti che oggi non ci sono più», dice la Goodall, che a 84 anni, per seguire i tanti progetti della sua fondazione, tutti mirati a salvare il pianeta, viaggia ancora trecento giorni l’anno. «Con un solo cruccio, quello di non riuscire a seguire ovunque la mia dieta vegetariana», aggiunge la scienziata che dietro la sua fragile eleganza nasconde la determinazione di un’agguerrita ambientalista, convinta che anche i nostri gesti individuali possano cambiare il mondo.

È da più di 25 anni che gli scienziati ci mettono in guardia contro le conseguenze del cambio climatico, ma i leader del pianeta continuano a reagire con esasperante lentezza. Perché?
«Semplicemente perché la maggior parte dei politici e dei presidenti delle grandi multinazionali pensa soprattutto a sé stessa, alla sua popolarità o ai suoi guadagni, e non alle generazioni future, a essere generosi. Purtroppo, ciò accade anche a molti di noi. A questo s’aggiunge la continua crescita demografica con la povertà che ne consegue, e il fatto che le società ricche consumano molto più del necessario. È assurdo credere che possa esservi una crescita illimitata in un mondo in cui le risorse sono limitate. Come dice Papa Francesco, che è uno dei miei eroi moderni, anche se abbiamo la capacità di riprodurci come conigli ciò non significa che siamo costretti a farlo».
E quindi quali sono le ricette per evitare di finire nel caos?
«Finché non avremo abolito la povertà, negli ambienti rurali ci saranno sempre degli affamati che distruggeranno le foreste per sopravvivere, e in quelli urbani ci sarà gente che comprerà i prodotti meno cari, fabbricati dalle aziende più inquinanti, che peggiorano il surriscaldamento. L’altro imperativo è proteggere la foresta e ripulire gli oceani, i due grandi polmoni del pianeta».
Fa pensare ai gilet gialli, che dicono di non poter pensare alla fine del mondo perché devono prima preoccuparsi di arrivare alla fine del mese.
«Hanno in parte ragione, perché se sei davvero povero non ce la fai a pagare una nuova tassa sulla benzina. È necessario non solo spiegare l’importanza delle misure contro il cambio climatico, ma anche modularle per renderle accessibili a tutte le tasche. In Africa, dove si abbattano gli alberi per ottenere carbone, senza il quale non ci si può né scaldare né si può cucinare, prima di salvare l’ambiente bisogna aiutare chi non ha nulla».
Ma lei crede veramente che possa esistere una crescita economica “sostenibile”?
«So soltanto che c’è rimasto poco tempo per trovare nuovi modelli economici che siano in armonia con l’ambiente che ci circonda. Gandhi disse che il pianeta può produrre abbastanza per i bisogni dell’uomo ma non per la sua avidità. Vede, io sono cresciuta durante la guerra, quando tutto era razionato, e nessuno si lamentava. Oggi, invece, si dà tutto per scontato. E si spreca troppo. Dobbiamo cambiare atteggiamento, anche se non è facile».
Ognuno di noi può dunque giocare un ruolo?
«Certo e la prima cosa da fare è valutare le conseguenze di ogni nostro minimo gesto. Dobbiamo sempre chiederci da dove arriva ciò che compriamo e com’è stato prodotto, se proviene da fattorie industriali o da giganteschi macelli, se l’hanno confezionato in un Paese dove c’è ancora la schiavitù infantile e se ci serve per davvero. Le scelte individuali hanno enormi conseguenze a livello globale. Spegnere la luce quando non serve, andare al lavoro in bici, chiudere il rubinetto quando mi lavo i denti e via elencando: a fare la differenza sarà l’effetto cumulativo di queste piccole scelte etiche di milioni di persone».
Cos’altro si può fare?
«Diventare vegetariani. Dovremmo infatti ridurre il consumo dei nostri bisogni, soprattutto alimentari. Mangiamo tanta carne, troppa, la cui gran parte proviene da allevamenti intensivi che provocano enormi sofferenze a miliardi di animali. E poi si distrugge l’ambiente per produrre il loro cibo, che viene trasportato usando carburante che inquina l’atmosfera, la quale è già satura del metano che producono le vacche!».
In un quadro così desolante c’è spazio per un po’ di speranza?
«La mia più grande speranza la ripongo nei giovani. Mi viene in mente quella straordinaria adolescente svedese, Greta Thunberg, che alla conferenza sul clima di Katovice e, più recentemente, a Davos, ha rinfacciato ai leader del pianeta le loro colpe sui cambiamenti climatici dicendo: “Voi non avete più scuse e noi non abbiamo più tempo”. Greta appartiene alla categoria di chi s’impegna a salvare il mondo. C’è poi la natura stessa, che è profondamente resiliente. Se distruggi un bosco, con un po’ di fortuna e con un piccolo aiuto quel bosco potrà rinascere. Lo stesso discorso vale per le specie in via di estinzione alle quali è stata data una seconda opportunità, e che si sono salvate. Possiamo infine contare sull’indomabile spirito dell’uomo giusto: di colui che non si arrende e non si spaventa davanti a problemi e difficoltà apparentemente irrisolvibili, che alla fine riesce a districare».
Che lezione ha tratto dall’aver vissuto tanti anni a stretto contatto con gli scimpanzé?
«Che nella giungla hanno un comportamento molto simile al nostro, perché anche loro si baciano, si abbracciano, si tengono per mano o si arrabbiano. La scienza si sta finalmente rendendo conto che gli animali sono molto più intelligenti di quello che pensavamo, e non soltanto i primati, anche gli uccelli, i polipi o anche alcuni insetti. Il che è sicuramente un bene, sia per l’uomo sia per il resto del Creato».