il Fatto Quotidiano, 17 aprile 2019
I guai di San Marino
Il paradiso (fiscale) perduto. Si stava meglio quando si era peggio. Ora che San Marino si è messa in regola con la trasparenza bancaria, il meccanismo perfetto come l’orologio del Palazzo del governo sembra bloccato. Un paese spaccato: si dilania la politica, tremano le banche, lotte intestine dividono la magistratura. Si scoprono disoccupazione e debito pubblico. Ogni anno uno scandalo. L’ultimo è di due giorni fa, quando il Commissario della Legge (in pratica il pm) Alberto Buriani ha indagato due pezzi grossi: Catia Tomasetti, presidente della Banca centrale di San Marino, e Sandro Gozi, ex sottosegretario con Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, oggi candidato alle Europee con Emmanuel Macron. L’accusa è amministrazione infedele.
Dice l’ordinanza: “Inducevano il consiglio direttivo della banca centrale a stipulare un contratto con Gozi avente a oggetto una ‘consulenza per adeguamenti normativi e per i rapporti con istituzioni estere’ poi rivelatasi fittizia… Tomasetti – è scritto nelle carte – ‘raccomanda l’adozione in data odierna della delibera’… Tomasetti ometteva di informare il consiglio direttivo del suo pregresso rapporto con Gozi che l’aveva introdotta come candidata alla carica di presidente della Banca Centrale e che già in passato si era adoperato perché Tomasetti ricevesse incarichi presso Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Cesena”. Il commissario sostiene che l’incarico “era privo di effettività”, per un compenso annuale di 120mila euro (10mila al mese), più rimborso spese e un success fee di 100mila euro. Tomasetti replica: “Il Commissario dice che ho lavorato a Ferrara e non è vero. Sostiene che ho taciuto i rapporti con Gozi, quando ne parlai pubblicamente”. La consulenza di Gozi? “Non l’ho conferita io, ma il consiglio direttivo, e ha prodotto risultati notevoli”.
Ma il punto non è l’inchiesta. Sono le polemiche. Dietro i cristalli del Tribunale si respira aria tesa. La magistratura è spaccata. C’è chi parla di un “un colpo da una parte e uno dall’altra”. Pettegolezzi, non c’è dubbio. Nel 2017 c’era stata, su un esposto del partito Movimento Rete, l’inchiesta sui passati vertici della Banca Centrale accusati, si leggeva nelle carte, “di concorso nel misfatto di amministrazione infedele”. Di che cosa erano accusati? “Operando al di fuori dei poteri istituzionali e del mandato” avrebbero impiegato “non meno di 49 milioni” pubblici nell’acquisto di “titoli illiquidi e privi di rating” per sostenere la banca sanmarinese Cis (privata).
“Le inchieste sono partite nel 2008 con l’indagine su due istituti locali – racconta Antonio Fabbri che vi ha dedicato un libro – Si parlava di esercizio abusivo di attività finanziarie in Italia. I dipendenti delle banche, secondo il pm, venivano in Italia per piazzare prodotti finanziari”. scandali a raffica, talvolta conditi con parentele, rapporti economici non sempre alla luce del sole. Un’Italia in miniatura, San Marino ha 33mila abitanti: qui i Capitani Reggenti, massima carica della Repubblica, cambiano ogni sei mesi e li incontri al bar a parlare di calcio. Ma l’esperienza del Titano racconta qualcosa anche all’Europa (pure se San Marino è fuori dalla Ue): se fai le regole, porti giustizia, ma – se altri non fanno altrettanto – rischi di metterti in ginocchio. Riferisce un alto funzionario che chiede riservatezza: “Abbiamo tolto il segreto bancario ed eliminato le società anonime, inaugurato la cooperazione con l’Italia per i dati tributari. Abbiamo introdotto l’autoriciclaggio prima di voi”. Ce n’era bisogno, a San Marino le inchieste rivelarono investimenti della Camorra e di esponenti della ’ndrangheta poi uccisi in Calabria.
Ma San Marino ora implode. Lo vedi nei negozi: una teoria di vetrine con magliette della Ferrari e della Juve. Le auto non sono le Lamborghini che incroci a Montecarlo. Per non parlare dei telefonini: “Qui la linea cade a ogni curva e ti tocca pagare il roaming”, racconta David Oddone del giornale sammarinese Repubblica. Negli anni del paradiso le banche erano 13, oggi sono 5 (ci sono sammarinesi che portano soldi in Italia!). La raccolta è scesa da 15 a 5 miliardi e gli Npl sono 500 milioni. “Avevamo la disoccupazione più bassa d’Europa, il 3%, ora siamo all’8%”, racconta William Vagnini, segretario generale dell’Anis (l’equivalente di Confindustria). Aggiunge: “Non c’era debito pubblico. Ora siamo a 300 milioni, oltre ai 530 per tappare le falle della Cassa di Risparmio (proprietà pubblica)”. Oltre 800 milioni, su 1,4 miliardi di Pil. In un anno la gente ha ingoiato due patrimoniali. “Peccato”, scuotono la testa Vagnini e Romina Menicucci dell’Anis, “C’è differenza tra San Marino e, per dire, Montecarlo. Qui ci sono oltre 300 industrie. Nel 2017 hanno aumentato il fatturato del 2,63%, investendo risorse proprie (le banche locali devono prendere soldi fuori a costi maggiori, ndr). Danno lavoro a 6mila italiani”. Ecco San Marino, che avrà un duemillesimo degli abitanti dell’Italia, ma è indipendente dal 301 o dal 1291, a seconda delle ricostruzioni storiche. San Marino che ha un caso diplomatico con il vicino: le targhe. Con le leggi del governo giallo-verde, se un’impresa manda in Italia un camion con autista italiano rischia il sequestro. La vivono come uno schiaffo: “Vero, abbiamo fatto i furbi con le banche, ma ora che siamo in regola ci lasciano affondare”.