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 2019  aprile 17 Mercoledì calendario

Un altro Bush, George Prescott

C’è un altro Bush che tenta di riportare in auge una delle dinastie, insieme ai Kennedy, più famose d’America. Dopo l’umiliazione dell’ex governatore della Florida Jeb Bush, costretto (quasi in lacrime) al ritiro dalle primarie repubblicane nel 2016, ora è suo figlio George Prescott ad emergere come la futura speranza della famiglia. Il 42enne rampollo di uno dei più importanti clan della politica a stelle e strisce, che ha dato i natali a due ex presidenti Usa, punta a presentarsi come il volto nuovo del Grand Old Party. Peraltro, lui è stato l’unico dei Bush a sostenere, seppur cautamente, l’inquilino della Casa Bianca Donald Trump, sperando di crearsi una sua immagine e distanziarsi dalla famiglia, che invece ha giurato vendetta al tycoon dopo la debacle di Jeb. Secondo quanto riportato da The Atlantic fra le sue aspirazioni politiche c’è – almeno per il momento – quella di diventare governatore del Texas, anche se la tempistica della sua candidatura è tutta da definire. 
La madre è di origine messicana, e lui, come lei, si identifica come ispanico: classe 1976, avvocato, ex ufficiale della US Navy Reserve, investitore immobiliare, nel 2014 è stato nominato Commissario del Texas General Land Office, carica per la quale è stato rieletto nel 2018. Il suo esordio in politica, però, risale al 1988, quando aveva solo 12 anni, e parlò alla Convention repubblicana dove fu nominato il nonno e futuro presidente George Herbert Walker, scomparso nel novembre scorso. Il giovane George Prescott ha fatto campagna anche per il secondo Bush presidente, lo zio George Walker, durante le elezioni del 2000 e 2004. Quando nel 2003 gli hanno chiesto se aveva intenzione di candidarsi, lui ha risposto citando il suggerimento ricevuto dalla nonna, l’ex first lady Barbara, secondo cui chiunque pensa di entrare in politica deve prima distinguersi in qualche altro campo: «Fatti un nome, una famiglia, sposa qualcuno di fantastico, fai dei bambini, compra una casa, paga le tasse, invece di dire ehi, sono il nipote di o il figlio di...». 
Nello stesso anno dell’impietosa sconfitta del genitore alle primarie del Great Old Party, George Prescott, che prende il nome dal suo bisnonno, pure lui senatore, è stato inserito nella classifica di Newsmax dei 50 repubblicani ispanici più influenti, e dopo l’uscita di scena di Jeb ha fatto campagna per Trump. 
Mentre la famiglia per la prima volta da 40 anni rifiutava di partecipare alla kermesse del partito a Cleveland, lui ad un raduno dei repubblicani in Texas diceva che sebbene fosse una «pillola amara da digerire», era arrivato il momento di sostenere Trump per «fermare Hillary Clinton». E a The Atlantic, ha spiegato: «Non potevo guardare in faccia gli elettori e dire loro Trump va bene per voi, ma non per me». Il padre, dice, ha capito, e «l’ha presa un po’ meglio rispetto al resto della famiglia... Mio zio, però, ha chiesto di vederci per fare una chiacchierata».
Pochi giorni fa, The Donald, durante un evento in Texas lo ha chiamato alla ribalta per stringergli la mano dicendo: «È l’unico Bush a cui piaccio, e lui è l’unico Bush ad avere ragione. È destinato ad andare lontano». Nonostante i tentativi di smarcarsi dall’ingombrante famiglia, il dubbio è se il partito repubblicano vorrà puntare su un candidato che rispecchia comunque una classe di conservatori che appare d’altri tempi, nel tono, nel temperamento e nell’ideologia. 
Nel frattempo è sceso in campo il primo sfidante repubblicano di Trump a Usa 2020. È l’ex governatore del Massachusetts Bill Weld, il quale, annunciando la sua candidatura, non si è risparmiato quanto a riferimenti impegnativi: «È tempo di tornare ai principi di Lincoln», ha detto. «Uguaglianza, dignità e opportunità per tutti. Sono pronto a guidare questa battaglia».