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 2019  aprile 17 Mercoledì calendario

Cani da 1.500 euro l’ora

Circondato da ragazzi di tutti i colori che giocano a basket e sotto gli occhi, in distanza, di due tizi equivoci in camicia aperta e salopette, Olaf, con sette nasate a colpo sicuro, ha trovato 1500 euro di droga, fra hashish e marijuana, nel verde di parco Sempione, a Milano. Sepolti in venti centimetri di terra, sparpagliati sotto le foglie, nascosti nei cespugli, sacchetti grandi quanto un pugno o “tocchi” di due centimetri. Olaf è implacabile: in un’ora scova 45,3 grammi di hashish e 30,8 di marijuana. È bene sapere che Olaf è un pastore tedesco nero di sei anni e 34 chili che vive con Daniele Mazzini, responsabile tecnico del centro di addestramento e sovrintendente capo dell’unità cinofila della Polizia locale meneghina, i primi poliziotti municipali d’Italia a essersi dotati di un reparto del genere. «Se dovessi scegliere tra il cane e mia moglie? Indovini... Lei lo sa e non mi metterà mai davanti a questo bivio». 

NASCONDIGLI Siamo partiti dalla fine di questa giornata di avventure a Parco Sempione perché questo è il destino e il fine di questi magnifici cani: andare a caccia dei nascondigli selezionati dagli spacciatori nel tentativo di farla franca: «Ormai nessuno si tiene più niente addosso, per evitare di essere arrestati», spiega Alice Lottici, assistente scelto del centro di addestramento. Spesso riescono a mantenere inviolato il loro tesoro, a patto che non arrivino i cani: quando passa Olaf, o uno dei suoi colleghi, l’effetto è lo stesso di un sasso tirato nel pollaio: scappano tutti via e lasciano per strada le penne. «È come andare a caccia in riserva», racconta Mazzini, «se tra un’ora dovessimo passare di nuovo di qui, troveremmo tutto ripristinato. Per loro (gli spacciatori, ndr) questi sequestri sono considerati incidenti del mestiere». Un conflitto a bassa intensità, per tenere sulla corda gli spacciatori e infliggere piccole ma continue perdite. Guerriglia urbana armata di nasi. Abbiamo detto che Olaf, la sera, torna a casa con Mazzini; ma i suoi colleghi vivono nei loro box, al parco Forlanini. Il corso per diventare un cane dei ghisa milanesi dura sei mesi, alla fine un cane istruito così vale cinquantamila euro. E ognuno di questi poliziotti pelosi, esattamente come accade ai cristiani, ha i suoi tempi: c’è Rexo, 13 mesi, che ha finito di studiare tre mesi prima della media; Coco, invece, era «totalmente anarchico», ma Mazzini aveva capito che sotto l’irrequietezza, in realtà, covava un supercane, «ora è diventato un soldatino». E poi c’è Udon, che ha un anno ed è appena arrivato. Salta, abbaia, a momenti sembra che sorrida, appena avvicini la mano dà lunghe leccate dal di là della grata: «Ha un desiderio predatorio incredibile», dice Mazzini. Davvero? «Vede, siamo in tanti davanti al box, facciamo un’ombra importante sul cane, eppure lui sta qui, non è schivo, non abbassa le orecchie, non mette la coda tra le gambe, non scappa in fondo alla gabbia: sa che il mondo non è ostile. Questo è segno di un cane equilibrato». 

LA SELEZIONE Sono tutti animali poco appariscenti: la selezione è ferrea. Meglio se sono di taglia sotto lo standard perché vivono di più e sono più resistenti allo sforzo e più agili nei movimenti e negli anfratti dove, «per lavoro», spesso si devono incuneare. «La razza del pastore tedesco è stata selezionata a partire dalla fine dell’Ottocento, in Germania, dal capitano di cavalleria Max von Stephanitz», racconta Mazzini, «questi cani hanno uno spiccato senso di collaborazione con l’uomo, un vocabolario innato, un tempo di attenzione molto elevato e lavorano in ogni situazione, dalle discoteche ai parchi dove scorrazzano altri cani. E sono maschi non sterilizzati: le femmine non vanno bene perché attirerebbero altri cani, nel periodo del calore il loro odore viene percepito fino a 10 chilometri di distanza, si distraggono, farebbero fatica a lavorare. I prescelti non sono sterilizzati perché gli ormoni sono importanti, hanno un influsso anche sull’olfatto». Questi cani non conoscono catena né guinzaglio. Lavorano liberi, metodo che richiede un addestramento più lungo ma più efficace: «Hanno un raggio d’azione molto più ampio», spiega ancora Mazzini. Il sistema funziona così bene che le forze dell’ordine di tutto il Nord Italia affidano all’unita cinofila del capoluogo lombardo i propri cani per l’addestramento: da Brescia, a Venezia, Verona, Padova. E, oltre che a lavorare “in proprio”, le unità cinofile dei ghisa collaborano a carabinieri, polizia e guardia di finanza. 

IL GIOCO Ed ecco come si convince un cane a cercare la droga: l’odore della sostanza stupefacente viene associato al divertimento, quindi, ogni volta che il cane effettua un reperimento, gli viene dato un manicotto di spugna da mordere e strapazzare, un gioco che avviene insieme con il suo padrone. Ogni cane, alla presenza di sostanza stupefacenti, si comporta in maniera diversa: c’è chi avvisa abbaiando, chi scodinzola, chi muove solo gli occhi, come Fado, che fa coppia con Lottici: «È un lord, non si scompone mai». Come si sviluppa l’imprinting? Abituandoli ad associare al premio cinque sostanze stupefacenti: all’inizio hashish e marijuana, poi vengono aggiunte ecstasy, eroina e cocaina. Qualche mese fa, Olaf è riuscito a individuare della cocaina avvolta in stracci intrisi di cherosene, per cercare di nasconderne l’odore: non si è fatto ingannare. L’addestramento avviene utilizzando dei preparati chimici che hanno un odore identico a quello delle varie droghe, per non far correre rischi all’animale e perché per il cane la “roba” vera non abbia alcuna importanza, ma solo la via per ottenere il manicotto e giocare al “tiro alla fune”: un’estremità la tira il padrone, l’altra la tiene in bocca il cane e, alla fine, deve vincere lui, per rassicurarlo sulle sue capacità predatorie. Anche se il più delle volte il cane, nello specifico Olaf, non molla mai e vince per davvero. Se qualcuno vi avesse raccontato che sono animali cocainomani, che cercano droga perché sono in astinenza, sono balle. Sono solo drogati di gioco. Cane e istruttore sono una squadra: a ogni pastore tedesco corrisponde un solo uomo che sa come trattarlo, anche perché un cane così addestrato è un’arma implacabile. «La risposta del cane ai comandi è impeccabile, ma non li usiamo più per l’antisommossa», spiega Mazzini, «il cane è molto peggio di una pistola, perché quella decidi tu quando usarla. Mentre Olaf, se percepisce un pericolo, o capisce di poter essere attaccato, parte e non lo tieni più».