Il Messaggero, 17 aprile 2019
Chi c’è dietro Greta
ROMA Lunghe trecce bionde. Viso pulito. Sguardo dolce ma determinato. E finalmente, Greta è tra noi. Così l’Italia si sentirà più green e vedrà con i propri occhi il piccolo grande mito. Che è anche un marchio: il marchio Thunberg. Quello della sfida climaticamente corretta, della lotta al disastro climatico planetario, Agire adesso!, grideremo tutti insieme alla simpatica sedicenne svedese sul mega palco di Piazza del Popolo tutto a pedali, alimentato dall’energia di 128 biciclette – che probabilmente procurerà a Greta, sponsorizzata da deputati socialdemocratici svedesi, il Premio Nobel per la Pace. Come lo hanno avuto Walesa e Madre Teresa di Calcutta, Chamberlain e Mandela. E per fortuna che a Roma non c’è Trump («Non ho tempo per incontrarlo», ha annunciato Greta accolta ieri da super-star al Parlamento europeo), ma c’è la presidente Casellati, e domani la ragazza andrà in Senato e sarà un tripudio, e soprattutto c’è il Papa. Che è quasi green quanto lei e la aspetta.
Se Benedetto Croce diceva non possiamo non dirci cristiani, adesso il nuovo comandamento – che la macchina mediatica targata Thunberg, il think tank del catastrofismo ambientale incarnato in una perfetta giovane influencer globale sta diffondendo – recita così: non possiamo non dirci gretiani. I soliti cinici dicono che sta impazzando la gretineria. Ma forse, fatto salvo il rispetto e perfino l’affetto per la ragazza, sembra esserci un sottofondo di cinismo anche nel circo Greta. È figlia di una cantante famosa, Malena Ernman. E la mamma a distanza di soli quattro giorni dalla prima protesta della figliola (24 agosto 2018 con il lancio dello sciopero degli studenti per il clima, che sta spopolando ovunque e anche a Roma), pubblica un libro ultra-ecologista intitolato Scenes from the Heart. E non è una casualità un po’ troppo poco casuale, e molto da marketing (i Ferragnez al confronto possono sembrare dei pastorelli), questa coincidenza tra sciopero e lancio editoriale? Poi naturalmente è arrivato il volume di Greta, La nostra casa è in fiamme. La strategia di marketing sarebbe fin troppo banale se fosse finalizzata alla promozione letteraria di famiglia.
LE SOCIETÀ Capita che alla giovane Greta, capace di portare in piazza milioni di ragazzi, si affianchi un terzo personaggio: Ingmar Rentzhog, esperto di marketing. È proprietario della startup We Do not Have Time. Il 24 novembre 2018, Ingmar ha inserito la stessa Greta nel board della società. Solo 3 giorni dopo, We Do not Have Time (che è anche lo slogan di Greta) ha lanciato una campagna di crowfunding che ha raccolto 2,8 milioni di euro e sta spopolando nel mercato dei servizi relativi ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità. Verrebbe da pensare che Greta sia una macchina da soldi nelle mani di persone molto esperte nel mondo degli affari, ma è tutto molto green. E anche un po’ politico. Rentzhog, Ceo della fortunata startup, è stato assunto come presidente del think tank Global Utmaning nel maggio del 2018. Fondatrice di questo pensatoio è Kristina Persson, ex ministro socialdemocratico svedese dello sviluppo. Le posizioni sostenute dal think tank esprimono la necessità di combattere i nazionalismi emergenti in Europa e nel Mondo. E dunque tanti fili si muovono dietro la piccola Greta, in un groviglio di interessi economici e d’impegno politico anti-sovranista. Alla vigilia delle elezioni europee, il voyage ecologico della giovane nel continente intossicato dal riscaldamento planetario sembra inserirsi perfettamente nel contesto. E «mi raccomando, votate alle elezioni di maggio», ha raccomandato ieri la sedicenne a Strasburgo, spaziando tra Brexit e la ferita di Notre Dame come un’abile intrattenitrice politica. Da noi troverà calore, sorrisi, successi istituzionali e di piazza (volano le sottoscrizioni per il Friday for Future Rome), ed è giusto così. Ma forse la favola di Greta non è proprio una favola.