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 2019  aprile 17 Mercoledì calendario

La caduta dell’impero americano

Giovanotto carino ma lamentoso, laureato in filosofia ma di professione fattorino di posta celere “perché si guadagna di più che a fare l’insegnante”; casa che trabocca di libri, fidanzata bancaria che lo pianta in quanto sfigato dopo che lui le ha detto “sono troppo intelligente per aver successo”. Quale è il primo lusso che Pierre-Paul (Alexandre Landry) si concede quando si trova improvvisamente ricco? Entra nei siti delle prostitute e rimane disgustato della loro volgarità, fin quando si imbatte in una Aspasia, nome che gli ricorda sia Racine che Pericle o addirittura Mozart. Prostituzione e cultura, il massimo per lui, e il suo destino è segnato. E pazienza se nella versione italiana il nome diventa Aspasìa visto che l’originale è in lingua francese (e inglese), quindi l’etera antica è “Aspasie” con l’accento parlato sulla “i”, e al traduttore non è venuto in mente, per carità, di verificare. La caduta dell’impero americano (che però nulla c’entra con gli Stati Uniti) è il nuovo film di Denys Arcand, il regista canadese che nel 2003 vinse un Oscar per il miglior film straniero e un David di Donatello con Invasioni barbariche, storia di un suicidio assistito, commovente, sereno e persino divertente, e che avevamo scoperto anni prima, nel 1986, con l’esilarante gruppo di chiacchieroni intellettuali ormai superati di Il declino dell’impero americano. Arcand oggi si avvicina agli 80 anni e il suo nuovo film è un thriller irridente con un intreccio social-sentimentale apparentemente catastrofico e politicamente senza scampo. Pierre-Paul deve consegnare un plico in un supermercato che nello stesso momento subisce una doppia rapina con ammazzamenti di due e la fuga del terzo ragazzo nero ferito, che abbandona due enormi sacchi di grosse banconote canadesi per un valore inestimabile: infatti in quel mercatone è custodito il tesoro di una gang di spacciatori, e il probo sfigato di sinistra che fa? Se ne impossessa velocemente e lo nasconde. Nell’antipatica piccolezza, confusione e inconcludenza italiana, del Canada si sente parlare raramente perché se la spassa troppo bene per fare notizia; paradiso di massima democrazia dove vanno a studiare i nostri studenti danarosi, ha un graziosissimo primo ministro, Justin Trudeau, più, trattandosi di una monarchia, una regina, la stessa dell’Inghilterra, una Elisabetta II molto poco interessata a un possedimento virtuale. La Montreal che con cattiveria da indefesso comunista Arcand mostra, è piena ovunque di accattoni, homeless, quartieri neri impenetrabili per la polizia, polizia incapace e senza soldi (se gli agenti devono controllare un corteo di protesta non possono inseguire criminali), grattacieli meravigliosi e catapecchie muffe, enormi castelli fintogotico dove vivono gangster ricchissimi, mense gestite da volontari per miserabili affamati, uffici lussuosi per mercanti finanziari di altissimo livello. Si sa che il Canada ha attualmente il più ampio tasso di immigrazione, la sua popolazione viene da secoli da tutto il mondo, inglesi e francesi, italiani e africani, polacchi e russi, arabi, indiani, brasiliani, vietnamiti, cinesi e naturalmente aborigeni e inuit, gli eschimesi: tutti cittadini del Canada, secondo una politica di integrazione che è l’opposto della nostra. Che però secondo Arcand non crea benessere per tutti né elimina ovviamente il crimine: furto e droga per neri e latinoamericani, transazioni finanziarie illegali per gli ex europei al servizio dei miliardari di tutti i continenti. Pierre-Paul non sa che farsene di quel tesoro che comunque nasconde alla polizia, a parte comprare Aspasia (Maripier Morin), una deliziosa biondina delicata, raffinata, costosissima, che va agli appuntamenti con berlina e autista asiatico, ed è l’artista di magistrali fellatio che trasforma in un rito paradisiaco, irrinunciabile. E a cui dovrebbe rinunciare perché non si è mai visto che un fattorino possa permettersi simili grandiosità. Anche in Canada abbonda l’evasione fiscale, Pierre-Paul anche volendo, non può pagare le tasse perché i suoi soldi sono rubati e una lei e un lui poliziotti sono decisi a recuperarli. Che fare? Agganciare Sylvain (Remy Girard, simpatico attore simbolo di Arcand) che in galera ha seguito un corso di alta finanza, e naturalmente un vero abile criminale di gran classe, di quelli amati dalla buona società, con enormi uffici arredati da architetti di fama: sarà lui a fare arrivare il tesoro in Svizzera con una decina di clic di passaggio in varie parti del mondo: ma sarà Sylvain a inventare come sbarazzarsi della banconote canadesi a cui la polizia dà la caccia, trasformandole in dollari da esportare. Finale da fiaba, gesto ironico ed eroico del regista, che probabilmente si augura che anche i cattivi, magicamente, diventino buoni.