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 2019  aprile 16 Martedì calendario

Biografia di Benedetto XVI

Benedetto XVI (Joseph Aloisius Ratzinger), nato a Marktl (Baviera, Germania) il 16 aprile 1927 (92 anni). Papa (regnante dal 19 aprile 2005 al 28 febbraio 2013; da allora, emerito). «Per me la bontà implica anche la capacità di dire “no”, perché una bontà che “lascia correre” in tutto non fa bene all’altro» • «Liebfrauenbote, il messaggero delle donne amorevoli, si chiamava il giornale cattolico di Altötting. Era il 7 marzo del 1920 quando Joseph Ratzinger senior (1877-1959), ex ufficiale del 16mo reggimento bavarese dell’esercito imperiale, all’epoca gendarme, vi pubblicò il primo inserto. “Dipendente pubblico di basso rango, celibe, cattolico, 43 anni, cerca scopo matrimonio brava ragazza cattolica, che sappia cucinare, cucire, gestire famiglia. Auspicabile buona situazione patrimoniale”. Inserzione numero 734. Non ebbe risposte. Quattro mesi dopo, l’11 luglio, Joseph, nel frattempo promosso di grado, pubblicò un secondo annuncio con lo stesso numero. Si descrisse come “dipendente pubblico di medio rango”. Vantò il “passato senza macchie”, precisò che la buona situazione patrimoniale della futura sposa era “auspicio, non condizione”. Rispose una giovane cuoca, Maria Peintner (1884-1963). I due s’incontrarono, si piacquero. Ratzinger senior inoltrò la necessaria richiesta di permesso di nozze, e il 9 novembre 1920, a Pleiskirchen presso Altötting, Joseph e Maria si sposarono» (Andrea Tarquini). «C’è all’origine della sua storia una cattolicissima famiglia bavarese. Una madre molto affettiva, un fratello che si farà prete e diventerà direttore dei celeberrimi Piccoli cantori di Ratisbona, una sorella a lui molto cara. Il padre è gendarme. Ma non ci si immagini un personaggio autoritario che impone il marchio al figlio. Commissario di gendarmeria di provincia, è certamente severo, ma gli ripugna il regime nazista, guarda con ammirazione alla Francia e preferisce lo spirito della piccola patria bavarese alla freddezza prussiana e alla satanica fame di potere hitleriana» (Marco Politi). «Anche il piccolo e gracile Joseph, nato la notte del Sabato Santo del 1927, imparò presto a detestare i nazisti e i loro riti pagani. Anche perché, nel seminario in cui entrò ad appena 12 anni, in ossequio alle moderne liturgie del Reich gli alunni erano costretti a due ore di attività sportive ogni giorno. “Per me, fisicamente inferiore a tutti i miei compagni, era una vera tortura”, ricorderà il temuto “cardinale di acciaio”» (Lucio Brunelli). Ha raccontato il fratello Georg (classe 1924), intervistato da Marco Ansaldo: «Era un ottimo studente. Una volta nostra madre mi disse che era tra i primi tre del liceo, e solo perché in ginnastica e disegno non aveva voti eccellenti. Ma nelle materie scientifiche era sempre il migliore. Gli piacevano gli orsi di pezza. Nel 1928 a Marktl am Inn, il nostro paese, si era innamorato di un peluche che stava in vetrina. Poi lo aveva avuto in regalo a Natale. Era davvero affezionato a quei pupazzi. L’orso di san Corbiniano usato nel suo stemma è diventato il simbolo del suo cammino». «Trascorsa l’adolescenza a Traunstein, negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale fu arruolato a 15 anni nei servizi ausiliari antiaerei, mentre era iscritto d’ufficio alla Gioventù hitleriana, seguendo la sorte di tutti i giovani studenti tedeschi. Durante il regime hitleriano fu testimone dell’arresto di un suo cugino down da parte dei nazisti: il ragazzo fu internato in un campo di concentramento e non fece mai più ritorno in famiglia» (Orazio La Rocca). «La guerra lo coglie poco più che adolescente, e lo obbliga comunque a vestire, sia pure per poco, l’uniforme; lo mandano a fare il servente in una batteria contraerea, e poi lo mettono a lavorare ai telefoni di un centralino. Una breve parentesi, e poi riprende a studiare: filosofia e teologia nell’Università di Monaco, e alla scuola superiore di Frisinga» (Marco Tosatti). «Quando fu ordinato sacerdote, il 29 giugno 1951, nel momento in cui il cardinale Faulhaber gli imponeva le mani, un’allodola si levò in volo dall’altare maggiore della cattedrale di Frisinga e intonò quello che a don Joseph apparve un piccolo canto gioioso. “Per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta”. Ha fatto il viceparroco, a Monaco di Baviera, per un anno. Ma non era quella del curatore d’anime la strada giusta. Gli piaceva molto di più studiare, indagare le grandi verità cattoliche, messe a dura prova dal razionalismo. Intraprende la carriera accademica, e presto si afferma come uno dei più promettenti e preparati teologi del rinnovamento conciliare. Si immerge nella lettura dei Padri della Chiesa: sant’Agostino, sant’Ireneo, snobbando (ed era quasi eresia a quel tempo) la neoscolastica tomista. Si batte per restituire alla Rivelazione il suo carattere storico di azione divina, di contro alla sua cristallizzazione nella sola Parola. Dinamite teologica, roba da far sobbalzare sulle loro polverose cattedre i professoroni delle università pontificie romane» (Brunelli). «Libero docente di Teologia all’età di trentadue anni, insegna Dogmatica e Teologia a Frisinga, passando poi a Bonn, Münster e Tubinga. Lezioni e libri sarebbero stati il suo destino se nel 1962 l’arcivescovo di Colonia cardinale Frings non l’avesse portato con sé a Roma come consulente per il concilio Vaticano II. È la stagione "rivoluzionaria" di Ratzinger. Hans Küng è suo maestro, Karl Rahner suo compagno di impegno. I due appartengono alla prima linea della teologia critica e fanno parte di quel drappello internazionale di teologi che forniscono all’episcopato tedesco, francese, belga e olandese (che in Italia trova un’eco negli arcivescovi Montini e Lercaro) le munizioni intellettuali e dottrinali per rovesciare l’impostazione conservatrice dei documenti conciliari preparatori, redatti dalla Curia vaticana, e spingere il concilio nel mare aperto delle riforme. Sono gli anni in cui rimprovererà alla gerarchia ecclesiastica di agire con "le redini tirate e con troppe leggi". Qualche anno dopo, Ratzinger frenerà. Spaventato dal riformismo radicale dei teologi innovatori, e anche sotto lo shock dell’estremismo studentesco cristiano del ’68, che nelle università tedesche attacca violentemente la religione come puntello delle ingiustizie capitaliste. Il prete professore non dimenticherà mai l’effetto sconvolgente prodotto dalla vista di un volantino, che proclama "Maledetto Gesù". Risale a quegli anni la diffidenza radicata verso ogni forma di marxismo. Gli anni Settanta lo vedono molto critico nei confronti di ciò che chiama "lo spirito negativo del concilio", i cambiamenti che non condivide, gli esiti di "declino" che gli pare di intravedere nella vita della Chiesa. Ratzinger critica la decisione di abolire la messa tridentina e la riforma liturgica che mette l’altare al centro dell’assemblea con il sacerdote rivolto ai fedeli. Nel vecchio modello, spiega, tutti guardavano verso Cristo, il sole che sorge. Adesso, protesta, la mensa eucaristica è incentrata sul prete e la gente. In questo clima di contrapposizione al movimento postconciliare, Ratzinger fonda insieme al famoso teologo De Lubac e con l’appoggio di don Giussani, leader di Comunione e liberazione, la rivista Communio, contraltare alla rivista dei riformatori Concilium. Piace a Paolo VI questo teologo, protagonista del concilio e avversario delle sue derive più radicali. Così papa Montini, a sorpresa, lo promuove alla cattedra vescovile di Monaco di Baviera e gli impone la berretta cardinalizia. È il 1977. Un anno dopo, Ratzinger sarà tra i grandi elettori, che fanno pontefice l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla. Alla vigilia del conclave il cardinale teologo mette in guardia in una lunga intervista dal pericolo che il marxismo nella sua versione eurocomunista possa in qualche modo influenzare le scelte della Chiesa. Tre anni dopo, Giovanni Paolo II lo chiama in Vaticano all’incarico più importante – dopo quello di Papa – nella Curia romana: capo dell’ex Sant’Uffizio, ovvero (secondo la nuova terminologia) prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Tra Wojtyla e Ratzinger si crea un legame fortissimo, un rapporto di stima e di affetto profondo al punto che negli ultimi anni Giovanni Paolo II respingerà sistematicamente le richieste di Ratzinger di ritirarsi in pensione. Per Giovanni Paolo II il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede è il baluardo della dottrina di cui può fidarsi senza esitazione. Wojtyla viaggia e inventa gesti profetici, e intanto in Vaticano il porporato tedesco gli sgombra il campo di tutti i teologi critici, da Schillebeeckxs a Boff a Curran, a tanti altri allontanati dalle cattedre delle università cattoliche o privati del diritto di pubblicare libri e tenere conferenze. Nel corso degli anni il cardinale combatte sistematicamente la teologia della liberazione, accusandola di subordinazione al marxismo, sferra un duro attacco ai regimi dell’Est definendoli "vergogna del nostro tempo", pronuncia tutti i veti che Giovanni Paolo II ritiene necessari per mantenere l’ordine nella Chiesa cattolica. “No” al sacerdozio delle donne, “no” ai preti sposati, “no” ad un ruolo eccessivo dei laici nella gestione delle comunità cristiane, “no” alle coppie omosessuali. Per papa Wojtyla, che usa un linguaggio meno aggressivo, il cardinale è un partner perfetto nella grande partita contro il socialismo reale e, in America latina, contro i movimenti cristiani rivoluzionari o semplicemente di sinistra. Sul piano interno Ratzinger realizza per il pontefice polacco l’obiettivo di restaurare una severa linea dottrinale attraverso la redazione di un Catechismo universale, destinato a servire per imprimatur papale come base di qualsiasi catechismo nazionale. Qualunque cosa facciano gli episcopati del mondo in campo dottrinale, catechetico o liturgico, interviene a controllare il prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede» (Politi). «Supremo custode del dogma, […] esercita un potere che non ha precedenti nella storia. Prima di lui i capi del Sant’Uffizio rispondevano a quesiti su singoli casi dottrinali, inquisivano i teologi fuori linea. Ratzinger fa questo e molto di più. Emette documenti dottrinali che spettano di regola al papa. Scrive encicliche, cioè lettere circolari ai vescovi di tutto il mondo, altra tipica prerogativa papale. […] Il pronunciamento dogmatico più clamoroso a firma di Ratzinger è stata la dichiarazione Dominus Iesus del 6 agosto 2000, sulla fede in Cristo come unica, insostituibile via di salvezza per ciascun uomo. Scatenò una tempesta di critiche anche da parte di cardinali e arcivescovi di gran nome, da Carlo Maria Martini a Edward Cassidy, da Karl Lehmann a Walter Kasper, convinti che il Papa sarebbe poi intervenuto a smussare e mediare. Avvenne il contrario. Giovanni Paolo II coprì integralmente Ratzinger con la sua autorità. Disse che la Dominus Iesus era stata da lui “voluta e approvata in forma speciale”. Da allora il potere di Ratzinger è stato in costante crescendo. Quando nel 2002 compì 75 anni, invece che congedarlo il Papa lo riconfermò senza limiti di tempo» (Sandro Magister). Alla morte di Giovanni Paolo II (2 aprile 2005), fu Ratzinger, in qualità di decano del Sacro collegio cardinalizio, a celebrarne le esequie, e pochi giorni dopo, il 19 aprile 2005, fu Ratzinger a essere eletto suo successore, assumendo il nome pontificale di Benedetto XVI. «Eletto dopo un conclave-lampo durato meno di un giorno, il settantottenne Joseph Ratzinger aveva fin dall’inizio messo in chiaro che il suo stile sarebbe stato – a motivo dell’età e della sua formazione – diverso da quello del predecessore. Il nuovo Papa non aveva voluto presentare “programmi di governo”, perché “il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia”. Inizialmente impacciato e schivo, Ratzinger si era presto calato nei panni del Papa itinerante. […] Come nel viaggio in Polonia del maggio 2006, concluso con la visita ad Auschwitz: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – disse –, ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: ‘Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?’”. Il 2006 è anche l’anno del primo incidente internazionale. Ratzinger ama parlare del rapporto tra fede e ragione, e durante il viaggio in Baviera veste nuovamente i panni del professore. Tiene una lezione nella sua vecchia università, a Ratisbona, e un’antica citazione su Maometto, che il Pontefice non aveva fatto propria, viene rilanciata in tutto il mondo e accende la protesta del mondo islamico. Da allora Benedetto XVI moltiplicherà i segni di attenzione verso i musulmani, e ribadirà l’amicizia e il rispetto verso l’islam. Anche se da cardinale era spesso stato bollato come “Panzerkardinal”, come l’anima conservatrice di Wojtyla, Ratzinger da papa parla in continuazione della “gioia dell’essere cristiani”, e dedica la sua prima enciclica all’amore di Dio, Deus caritas est. “All’inizio dell’essere cristiano – scrive – non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione definitiva”. Il Papa teologo prima di diventare successore di Giovanni Paolo II sognava di potersi ritirare, lasciare il lavoro nella curia romana per scrivere un libro su Gesù di Nazareth. E così, nonostante il nuovo incarico, Ratzinger dedica ogni momento libero, specie le vacanze, alla scrittura del libro, un’opera unica in tre tomi, usciti nel 2007, 2011 e 2012. A questi tre si aggiunge anche il libro-intervista con Peter Seewald, Luce del mondo, il testo migliore per conoscere davvero chi sia Joseph Ratzinger. Benedetto XVI affronta viaggi difficili, si confronta con la secolarizzazione galoppante delle società scristianizzate e il dissenso interno alla Chiesa. Celebra il suo compleanno alla Casa Bianca, insieme a George Bush, e qualche giorno dopo, il 20 aprile 2008, prega a Ground Zero abbracciando i parenti delle vittime degli attentati dell’11 settembre. Un’altra grave crisi è quella che arriva nel gennaio 2009. Il Papa decide di revocare la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Tra questi c’è anche Richard Williamson, che in un’intervista tv di qualche mese prima aveva negato l’esistenza delle camere a gas. Esplodono le polemiche nel mondo ebraico, il Papa si sente solo e di fronte all’evidente débâcle della macchina curiale dei collaboratori prende carta e penna e scrive ai vescovi di tutto il mondo assumendosi ogni responsabilità. Un tempo succedeva che i collaboratori della curia facessero da scudo al Papa. Con Ratzinger accade esattamente l’inverso. Un anno dopo riesplode lo scandalo pedofilia, vengono pubblicati documenti su vecchi casi insabbiati, dagli Usa alla Germania. C’è persino chi vorrebbe portare il Pontefice in tribunale a rispondere dei reati commessi dai sacerdoti. Benedetto XVI affronta la crisi di petto, senza sconti, modificando le regole e chiedendo alla Curia e ai vescovi del mondo di cambiare mentalità. Come esempio personale, in ogni viaggio incontra delle vittime dei preti pedofili. E durante il volo verso il Portogallo del maggio 2010 arriva a dire che la persecuzione più grave per la Chiesa non arriva dai suoi nemici esterni, ma dal peccato dentro la Chiesa. Alcune sue iniziative di apertura e riappacificazione per l’unità della Chiesa non vengono capite e non ottengono risposte positive, come quella di liberalizzare la messa antica preconciliare e di avviare un dialogo con i lefebvriani. L’ultimo anno è segnato dalla fuga dei documenti riservati, i “vatileaks”, che fanno emergere tensioni interne ai palazzi vaticani e denunce di episodi di corruzione. Benedetto XVI si mostra sereno, difende a spada tratta i collaboratori, in primis il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, oggetto di attacchi sempre più frequenti. Fa celebrare il processo contro il suo maggiordomo Paolo Gabriele, reo confesso di aver copiato e diffuso le carte. Ma prima di Natale lo va a trovare in carcere e gli concede la grazia. Nonostante avesse cominciato a celebrare l’Anno della Fede per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II, e avesse confermato la sua presenza alla […] Gmg di Rio de Janeiro, il Papa che ha come sua priorità l’annuncio evangelico nella sua essenzialità lascia perché è stanco» (Andrea Tornielli). L’11 febbraio 2013, infatti, nel corso di un concistoro Benedetto XVI annunciò (in latino): «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice». Nello smarrimento generale, dopo aver scelto per sé il titolo di «Papa emerito», nel pomeriggio del 28 febbraio 2013 Benedetto XVI lasciò in elicottero il Palazzo Apostolico raggiungendo la residenza pontificia di Castel Gandolfo, per poi trasferirsi definitivamente, il 2 maggio successivo, presso il monastero Mater Ecclesiae, ubicato all’interno dei Giardini Vaticani. «Dalla salita sul monte annunciata nell’inverno del 2013, Benedetto XVI non è rimasto nascosto al mondo. Ha continuato a ricevere visite, a scrivere – soprattutto interventi per libri di apprezzati collaboratori – e, suo malgrado, a far discutere» (Matteo Matzuzzi). Tuttora estremamente lucido pur nel naturale scemare delle forze fisiche, papa Ratzinger interviene saltuariamente con alcuni preziosi contributi, spesso strumentalizzati a fini polemici tanto dai suoi indefessi detrattori quanto da alcuni estimatori talvolta troppo zelanti: particolare clamore ha destato da ultimo, nell’aprile 2019, un suo articolo in cui, coerentemente a quanto sempre sostenuto, ha individuato la causa più profonda dei numerosi episodi di pedofilia verificatisi in ambito ecclesiastico nella degenerazione morale innescata dalla «Rivoluzione del 1968», e riverberatasi anche tra le file del clero • «Da romano pontefice ha lanciato una vera e propria sfida a quella che egli stesso ha chiamato “dittatura del relativismo”: quel clima culturale che vuole negare alla ragione umana la possibilità di conoscere verità universali. Per Benedetto XVI si tratta dell’ultima grande dittatura, dopo la disfatta del nazismo e il crollo del comunismo. […] Al secolarismo aggressivo, il quale ribatteva sostenendo che la pretesa veritativa fosse fonte di fondamentalismi illiberali, Ratzinger ha opposto una fede in rapporto costante con la ragione, dove l’una cura l’altra dalle rispettive patologie del razionalismo e dell’integralismo. […] Non è un caso che proprio attorno a Ratzinger abbiano fatto quadrato molti non credenti, accogliendo la sfida ratzingeriana a “vivere come se Dio esistesse” e a lottare contro l’apostasia dell’Occidente da sé stesso. Scriverà a Marcello Pera nel 2004: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere”» (Benedetto Delle Site) • Grande passione per la musica classica, in particolare per Mozart, che ama suonare al pianoforte, e per la musica sacra, il cui impiego in ambito liturgico ha spesso sollecitato • Grande amore per i gatti, ai quali si rivolge talvolta in dialetto bavarese e per i quali ha fatto allestire un piccolo rifugio all’interno dei Giardini Vaticani • «Adoro Ratzinger, non solo perché è un uomo colto e intelligente, ma perché è un uomo con le palle. L’unico, ad esempio, che in Vaticano prese chiara posizione contro i preti pedofili degli Stati Uniti. E l’unico, si sa, che difende l’Occidente. Infatti di lui mi piace tutto. Anche la sua faccia e la sua buffa voce da nonna benevola ma pronta a tirare schiaffi» (Oriana Fallaci) • «Da uno studio di Stefano Violi, stimato docente di diritto canonico presso le facoltà di Teologia di Bologna e di Lugano, […] si scopre […] che Benedetto XVI non ha inteso rinunciare al munus Petrinus, all’ufficio, al compito, cioè, che il Cristo stesso attribuì al capo degli apostoli e che è stato tramandato ai suoi successori. Il Papa ha inteso rinunciare solo al ministerium, cioè all’esercizio, all’amministrazione concreta di quell’ufficio. […] Ecco, dunque, il perché della scelta, inattesa e inedita, di farsi chiamare “Papa emerito”. Un vescovo resta vescovo quando l’età o la malattia gli impongono di lasciare il governo della sua diocesi e si ritira a pregare per essa. Tanto più il vescovo di Roma, al quale il munus, l’ufficio, il compito di Pietro è stato conferito una volta per tutte, per l’eternità intera, dallo Spirito Santo, servendosi dei cardinali in conclave solo come strumenti. Ecco anche il perché della decisione di non abbandonare l’abito bianco, pur privato dei segni del governo attivo. Ecco il perché della volontà di stare accanto alle reliquie del Capo degli apostoli, venerate nella grande basilica. Per dirla con il professor Violi: “Benedetto XVI si è spogliato di tutte le potestà di governo e di comando inerenti il suo ufficio, senza però abbandonare il servizio alla Chiesa: questo continua, mediante l’esercizio della dimensione spirituale del munus pontificale affidatogli. A questo, non ha inteso rinunciare. Ha rinunciato non al compito, che non è revocabile, bensì alla sua esecuzione concreta”. […] Per la prima volta, dunque, la Chiesa avrebbe davvero due Papi, il regnante e l’emerito? Pare proprio che questa sia stata la volontà di Joseph Ratzinger stesso, con quella rinuncia al solo servizio attivo che è stato “un atto solenne del suo magistero”, per dirla con il canonista. Se davvero è cosi, tanto meglio per la Chiesa: è un dono che ci sia, uno accanto all’altro anche fisicamente, chi dirige e insegna e chi prega e soffre, per tutti, ma anzitutto per sorreggere il confratello nell’ufficio pontificale quotidiano» (Vittorio Messori) • «Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro» (Benedetto XVI durante la sua ultima udienza generale, in piazza San Pietro, il 27 febbraio 2013).