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 2019  aprile 16 Martedì calendario

Mare, porti e migranti: ecco chi decide e perché

Un esodo massiccio dalla Libia, nell’ordine delle decine o addirittura delle centinaia di migliaia di persone, non è all’ordine del giorno. Non ancora, forse. Diplomazia e intelligence italiane lavorano per scongiurarlo. Potrebbero partire in cinque-seimila, senz’altro troppi per Matteo Salvini che, dal Viminale, ribadisce: “Porti chiusi, decido io”.
È la bandiera della Lega che guarda alle Europee. Poco importa che un provvedimento generalizzato di chiusura delle acque territoriali e dei porti non sia mai stato adottato e spetterebbe comunque – anche per motivi di ordine pubblico – al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (articolo 83 del codice della navigazione), il grillino Danilo Toninelli. Appartiene tuttavia al Viminale, secondo le procedure in vigore dal 2015, il potere di indicare il Pos (Place of safety, porto sicuro) per le imbarcazioni che trasportano migranti, ma l’uso politico di questo potere ha già portato per due volte i magistrati a ipotizzare reati gravissimi a carico di Salvini, “salvato” nel caso Diciotti dal “soccorso grillino” in Senato.
Con le elezioni in vista, lo scontro tra i Cinque Stelle e il leader leghista è furibondo. Luigi Di Maio, oltre a criticare l’alleato per gli attacchi frontali alla politica libica della Francia, ieri al Corriere diceva che “chiudere un porto è una misura occasionale (…) ma di fronte a un intensificarsi della crisi non basterebbe”. E la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta: “In caso di una nuova guerra non avremmo migranti ma rifugiati. E i rifugiati si accolgono”. Salvini però rivendica: “Sui temi di controllo dei confini e di criminalità organizzata sono io a decidere. Se Di Maio e Trenta la pensano in modo diverso lo dicano in Consiglio dei ministri e faremo una franca discussione”. Seguono controrepliche acide; le schermaglie elettorali investono in pieno i temi della sicurezza interna ed esterna e quelli, altrettanto cruciali, della politica italiana in Libia.
Migranti o rifugiati? Per Salvini, si sa, sono tutti “clandestini”. In realtà e non da oggi, molti cittadini africani o asiatici che attraversano il Mediterraneo o vengono soccorsi in mare hanno diritto allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria, come prevedono le Convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, perché rischiano persecuzioni o violenze nei Paesi d’origine. Infatti respingerli collettivamente, senza identificarli e senza consentire loro di chiedere asilo, viola la Convenzione europea dei diritti umani.
L’Italia, in passato, è già stata condannata dalla Corte di Strasburgo quando altri governi ci hanno provato. Salvini ha ostacolato i soccorsi in mare, criminalizzando le Ong e arretrando il dispositivo della Guardia costiera, facendo attendere per giorni e giorni perfino un mezzo militare come la nave Diciotti, ma per ora non risulta abbia fatto respingimenti collettivii. Tutt’al più ha dirottato barconi e naufraghi su Malta. Se l’escalation militare in Libia proseguirà, gli stessi libici in fuga via mare dovranno essere considerati profughi di guerra, cioè rifugiati come dice la Trenta.
E sul mare chi decide? Ferme restando le competenze della Guardia costiera sulla sicurezza della navigazione e della Marina militare in alto mare, dal 2017 le funzioni di polizia nelle acque territoriali e nella cosiddetta “zona contigua” sono affidate alla Guardia di Finanza, che a questi fini dipende dal ministero dell’Interno. Ma un eventuale esodo di massa dalla Libia investirebbe l’intero governo. E forse nemmeno Salvini potrebbe pensare di respingere migliaia di boat people.