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 2019  aprile 16 Martedì calendario

La scomoda verità sull’ansia

«No self, no fear», mi dice Joseph Le Doux, professore alla New York University e tra i massimi neuroscienziati per gli studi su emozioni e amigdala. «Niente sé, niente paura». Il sorriso a denti stretti si accoppia a uno sguardo indagatore, in un flusso di pensieri che illustra la sua spiegazione della coscienza, dai primi organismi, 4 miliardi di anni fa, ai Sapiens. È così che si dispiega la sua teoria - di sicuro controversa - e che si completa in un nuovo saggio, in uscita negli Usa da Viking con l’impegnativo titolo «The Deep History of Ourselves», la storia profonda di noi stessi, presto pubblicato in Italia da Raffaello Cortina.
«Mi farò una t-shirt con questa scritta, “No self, no fear”», ammicca. E in effetti è lì il nocciolo delle sue ricerche, che domani saranno celebrati con un evento speciale all’Accademia delle Scienze di Torino, quando Le Doux verrà nominato membro onorario del dipartimento di Psicologia e dell’Istituto di Neuroscienze dell’Università. Una giornata di riflessioni e di festa, organizzata da Marco Tamietto, professore di psicobiologia, a cui parteciperanno altre star delle neuroscienze, come Mike Gazzaniga e Giacomo Rizzolatti.
All’inizio della vita biologica - sottolinea Le Doux - non c’era paura. «C’erano reazioni alle minacce e ai pericoli, come vediamo in una serie di esseri viventi, a partire da spugne e moscerini e indietro fino al “Last common bilaterian ancestor”, l’antenato comune degli organismi complessi, datato intorno a 600 milioni di anni fa». Poi quei meccanismi diventano via via più sofisticati e si integrano, gestendo funzioni diverse: «Dall’assunzione di sostanze nutrienti alla riproduzione».
La paura e l’ansia - dimensioni interiori che ha studiato a lungo e che l’hanno reso celebre - dovevano ancora manifestarsi, insieme con il fardello delle emozioni, così come siamo abituati a percepirle e a definirle. «Solo nell’essere umano, infatti, il cervello è pienamente consapevole delle proprie attività e, quindi, di essere sia soggetto sia oggetto di azioni e reazioni». La paura, appunto, non è un istinto primordiale, come tendiamo a credere, ma insieme con l’amore e l’empatia è una condizione unicamente umana. Gli animali non la provano come noi e nemmeno i neonati. La galassia delle emozioni - ripete più volte - rappresenta il raffinato prodotto della consapevolezza e della coscienza. Di quel sé, appunto, che svetta sulla futura t-shirt di Le Doux.
Cani e gatti, per esempio, non sanno che cosa sia la paura (o l’ansia). «Quel grande biologo di Darwin non era altrettanto grande come psicologo: parlava delle emozioni degli animali in un’epoca, l’Inghilterra vittoriana, in cui nasceva l’associazione per la prevenzione della crudeltà contro gli animali e i bambini». Che, significativamente, sull’onda di un intenso senso di colpa, venivano associati in un’unica categoria di creature. Fragili, da difendere e soprattutto simili. «Purtroppo per lui si trattava di una visione scientificamente insostenibile». E cita un celebre testo, «What is it like to be a bat?», «Che cosa si prova a essere un pipistrello?» del filosofo Thomas Nagel, dove si arriva alla conclusione - forse sconfortante, molto alla Wittgenstein - che la risposta è impraticabile. «Ragion per cui è meglio che rispondiamo solo alle domande a cui possiamo rispondere».
«Capisco che studiosi come Jane Goodall e Frans De Waal ribattano: “Non c’è dubbio! Gli animali hanno una coscienza!”. Guardano le scimmie e proiettano su di loro il proprio sé. Però entrare nella mente degli animali non è come speculare sull’Universo e sui suoi enigmi. È impossibile e basta». Il che non significa non dover rispettare gli animali: «Si tratta di una questione diversa, etica, ed è perfettamente giusto preoccuparsi di non infliggere loro sofferenze». Di quelle menti «altre», semmai, si può dire che possiedono «una cognizione deliberativa. Sto parlando di mammiferi, scimmie e uccelli, i cui processi cognitivi non devono essere confusi con la coscienza umana. Loro non si pongono interrogativi e tanto meno questioni epistemologiche».
Noi - aggiunge - Le Doux siamo incomparabilmente diversi. Lo svela la complessità del cervello, in cui si attivano processi successivi, sia primordiali sia sofisticati. «Qualcuno pensa ancora che l’amigdala sia la sede della paura e che io l’abbia definita così. Non è vero. Lì si attivano associazioni tra stimoli potenzialmente pericolosi e risposte pre-determinate che precedono la consapevolezza stessa, mentre la paura è un’emozione che nasce da uno schema mentale e perciò da un’esperienza culturalmente acquisita. Solo noi possediamo circuiti neurali specifici, nella corteccia prefrontale, per elaborare un’interpretazione cognitiva di ciò che, per esempio, “significa” un serpente o un ragno, di ciò che hanno rappresentato per noi in passato e di cosa potrebbe accaderci se fossimo attaccati. Ricordare ciò che è stato e rappresentare il futuro e poi metterlo in rapporto con noi stessi sono gli ingredienti da cui si generano il senso di paura e la coscienza».
Ci sono non poche conseguenze pratiche di questa odissea nei cervelli. Una - sottolinea Le Doux - è legata ai farmaci: «Molti assumono gli ansiolitici e restano delusi, perché si costruiscono attese sbagliate. Le medicine non eliminano l’ansia o la paura, che sono condizioni psicologiche. Agiscono sui meccanismi sottostanti, ancestrali, della reazione istintiva e delle risposte comportamentali al pericolo. Però l’emozione non può sparire. Al massimo si modificano i comportamenti». Il professore esibisce il suo tipico sorriso: «Purtroppo è questo il mio messaggio. Ed è un “bad message”».
Ansia e paura non si annichiliscono con gocce o pillole. I ricordi individuali e le eredità collettive contribuiscono a formarle e poi le emozioni si manifestano con intensità diverse e variabili. «Sono come l’ormone cortisolo. È necessario e tuttavia, se supera un certo livello, diventa tossico». Ecco perché non si devono trascurare gli effetti benefici della psicoterapia. «Funziona quando il cervello è stato adeguatamente preparato, imparando a riconoscere le reazioni istintive dell’amigdala e a stabilire nuove associazioni alla base delle memorie dell’ippocampo, fino allo sviluppo di un altro sé, per esempio con la meditazione».
Il «bad message» di Le Doux non è poi così cattivo come sembra. E il tempo libero del professore suggerisce che l’ansia si può manipolare in tanti modi. Anche suonando la chitarra con una propria band, gli «Amygdaloids». Si esibisce nei club newyorchesi, ma stasera le sue atmosfere rock risuoneranno allo Xo Cafè di Torino. Un’occasione per meditare sugli enigmatici testi di «Inside of me» e «Map of your mind».