La Stampa, 16 aprile 2019
Radio Radicale sta per chiudere
Un piccolo, sconosciuto aneddoto che spiega tante cose nella sciarada di Radio Radicale. Era l’ottobre del 2014, il Senato voleva ricordare Eduardo De Filippo che nella sua lunga vita era stato senatore a vita, ma in aula aveva parlato una sola volta, il 23 ottobre 1982. Un intervento memorabile, sui «ragazzi dell’Istituto Filangeri di Napoli, che spesso a causa di carenze sociali, hanno dovuto deviare dalla retta via...», disse il vecchio Eduardo. Alla fine - travolti dalla poesia e dalla commozione - avevano applaudito tutti, comunisti, liberali e democristiani. Ma come risentire quel sonoro? I volenterosi funzionari del Senato, che cinque anni fa volevano riproporre quell’intervento, scoprirono che né palazzo Madama né la Rai disponevano della registrazione. Uno di loro propose: perché non proviamo con Radio Radicale? Il sonoro venne fuori. Perché la radio dei radicali dispone non soltanto di un archivio audio-video formidabile (540mila registrazioni) ma fino agli anni Novanta è stata l’unica ad aver impresso tutte - ed intere - le sedute parlamentari.
Ma da ieri Radio radicale è più vicina alla chiusura. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Rocco Crimi, Cinque stelle, ha dichiarato testualmente: «Radio Radicale? La posizione è molto chiara, è intenzione di questo governo - almeno mia e del Mise che abbiamo seguito il dossier - di non rinnovare la Convenzione con Radio Radicale. Un servizio svolto per 25 anni senza alcun tipo di valutazione, come l’affidamento con una gara. Nessuno ce l’ha con Radio Radicale o ne vuole la chiusura».
In realtà il combinato disposto degli atti decisi, sino ad oggi dal governo e di quelli annunciati, avrebbe proprio l’effetto di soffocare o persino spegnere quella voce. Fino al 2018 Radio Radicale ha potuto vivere grazie a due distinti finanziamenti. Il primo, di 8,2 milioni di euro, erogato dal Ministero dello Sviluppo Economico per la trasmissione integrale di tutte le sedute del Parlamento: il riconoscimento di un servizio pubblico. La volle il governo presieduto da Carlo Azeglio Ciampi e da allora la convenzione non si è mai interrotta. Ma ora Crimi conferma che l’ultima tranche di quella convenzione sarà interrotta a partire dal 21 maggio. C’era poi un contributo di 4 milioni per l’editoria (questo sarà azzerato il primo gennaio 2020) ed erogato alla radio come «impresa privata che ha svolto attività di interesse generale». Fondi a copertura delle spese per seguire e registrare l’attività di Consulta, Csm, 24 mila udienze dei più importanti processi, tremila congressi di partiti e sindacati, 32mila dibattiti con tutti i più importanti intellettuali del Paese, 22mila conferenze stampa, settemila comizi. Una sorta di “patrimonio nazionale” obiettivamente a rischio e del quale fa parte anche la torrentizia programmazione “autonoma” della Radio, la proverbiale “Stampa e regime” di Massimo Bordin, rubriche introvabili altrove, da Radio carcere a Musulmane laiche, da L’ora di Cindia al Rovescio del diritto, da Voci africane a Divorzio breve.
Un patrimonio che nei decenni Marco Pannella ha saputo salvaguardare anche grazie ai rapporti personali con Andreotti e Craxi, Berlusconi e Prodi. Ora molto dipenderà da Matteo Salvini. Nei rapporti col mondo dell’informazione il capo della Lega non ha condiviso i toni irridenti e aggressivi di Di Maio e ieri sera, il viceministro leghista all’Economia Massimo Garavaglia ha detto: «Mi auguro che il Parlamento trovi una soluzione di equilibrio». Come dire, senza dirlo: se la vicenda sarà “parlamentarizzata” si potrebbe trovare anche una maggioranza diversa da quella governativa.