il Fatto Quotidiano, 15 aprile 2019
Tasse non pagate? Con Diocleziano saldavano i politici
Non c’è giorno che passa, o anno, o governo, in cui in Italia non si discuta di una nuova riforma del fisco e dei problemi connessi. Dall’eccessiva pressione della tassazione al fenomeno dell’evasione e dell’elusione fiscale dall’impressionante dimensione patologica, il dibattito politico non giunge mai a soluzioni o svolte soddisfacenti. Uno dei punti del “contratto” tra le due forze politiche dell’attuale governo è la cosiddetta “flat tax”, un tetto basso alla tassazione uguale per tutti, senza distinzione di reddito. Poiché non serve ripetere quanto sia illegittima una simile riforma, dimenticandosi come la nostra Costituzione imponga il carattere progressivo della tassazione (chi più ha proporzionalmente e progressivamente più dà), ricordiamo cosa accadeva nell’Impero romano. Tra III e IV secolo d.C., per contrastare una terribile recessione economica segnata da speculazione e inflazione, gli imperatori, a cominciare da Diocleziano autore di una serie di riforme economiche, fiscali e monetarie, riuscirono a strappare l’impero dalle fauci della crisi. In particolare, a proposito del sistema di riscossione fiscale si andò affermando il principio che i decuriones, cioè i notabili che sedevano nei senati locali delle città e, quindi, gli esponenti politici rappresentanti dei ceti più abbienti, erano obbligati a versare alle casse imperiali la parte del gettito fiscale non riscosso. Riusciamo a immaginare quale effetto avrebbe oggi il principio in base al quale parlamentari, consiglieri regionali e comunali dovrebbero rimediare con i loro patrimoni privati all’evasione fiscale? Non sparirebbero forse una volta per tutte condoni e privilegi per i più ricchi? Altro che flat tax!