Corriere della Sera, 15 aprile 2019
L’ultimo libro di Pinketts
Anche mentre stava morendo all’ospedale di Niguarda (se n’è andato pochi giorni prima dello scorso Natale a 57 anni), Andrea G. Pinketts ha continuato a scrivere. E dopo tanta notte strizzami le occhiaie è il suo ultimo libro; ci lavorava di notte nell’illusione di fermare il tempo. «E non si fermerà certamente durante questo agghiacciante pigiama party festeggiato senza gioia con sorella morfina». Tutti i suoi romanzi, a partire da Lazzaro, vieni fuori del 1991, sono stati degli happening, degli Helzapoppin, un montaggio di gag. Lo è anche questo finale (ma per niente triste e solitario, per dirlo come l’avrebbero detto i suoi amati Philip Marlowe e Raymond Chandler). Però qualcosa di nuovo si è insinuato nel mondo fatto di duri, di bulli e di pupe di Pinketts. Lui nel libro questa cosa nuova l’ha battezzata Mamma Paura (avversaria di Madre Coraggio). La paura ha partecipato subdolamente, presentandosi in un «intimo, un po’ zoccolesco, a quello che ormai è a tutti gli effetti un rave party». Ci vuole classe per raccontare un’agonia come se fosse un rave party.
In E dopo tanta notte strizzami le occhiaie (in uscita domani per Mondadori) Pinketts chiama le cose con il loro nome (il mestiere di uno scrittore consiste essenzialmente proprio in questo). Dice, sin dalle prime righe, che «l’amore ha gli occhi gialli» (anche se lui li avrebbe preferiti viola, come quelli, leggendari, di Liz Taylor). L’amore ha occhi da itterizia perché si è trasformato in un tumore «che dorme a testa in giù come un pipistrello e quando si sveglia con sembianze apparentemente umane diventa un vampiro». Qualche pagina dopo torna sull’argomento: «Un tumore maligno come Satana e invasivo come Hitler in Polonia, un concerto rap alla filarmonica di Vienna a Capodanno».
Andrea G. («sta per genio», amava sottolineare) Pinketts ha inseguito per tutta la vita il mito dello scrittore americano novecentesco. Scriveva nei caffè (il suo era il Trottoir sui Navigli, di cui era il nume tutelare e dove gli avevano intitolato una stanza tutta per lui). Sapeva che lo stile è l’alcol della scrittura. Per raccontarci la sua ultima storia ha scelto di raccontarcene tante. Quella di Addolorata e Innocente, per cominciare. I due stavano assieme poi lei lo lascia. Lui le fa una scenata di gelosia e sospetta che la ragione dell’abbandono sia un tale Andrea Villani che bazzica in casa loro da una settimana. Addolorata nega e dà a Innocente del paranoico: Andrea Villani è solo un piastrellista e stava in casa per svolgere il suo lavoro. Siamo a Lurasco Bombardato, piccola frazione («quante grandi frazioni conoscete?», domanda Pinketts, come al solito allergico ai tic linguistici) di un posto che si chiama Lurasco Bombardiere. Ma Innocente indaga e scopre che Andrea Villani («il più elegante piastrellista di Lurasco Bombardato, nonché l’unico») aveva invitato Addolorata a «fare l’aperitivo» (un’altra «espressione orribile», commenta Pinketts). I due hanno consumato due spritz a testa, quattro olive, sei salatini. Andrea Villani, uno che «si profumava con l’arbremagique della sua decapottabile color salsiccia», è in realtà davvero l’amante di Addolorata e durante quel frugale happy hour l’ha spronata a liberarsi di Innocente. Quest’ultimo non la prenderà molto bene. Seguirà fatto di sangue (ma il sangue nei libri di Andrea G. somiglia sempre al purè di pomodoro e i finali sono come spaghettate di mezzanotte).
La sua passione: smontare i luoghi comuni, i tormen-toni dei linguaggi
televisivi, giornalistici, pubblicitari, proverbiali
Nelle altre storie con le quali Pinketts si è congedato da noi troviamo gli improbabili personaggi che popolano sempre i suoi racconti. Stavolta sono di scena nel suo teatro scritto, tra gli altri: l’Avvoltoio, il proprietario dell’unico English Pub di Carognate Milanese; Carlos Lucarello, un imbalsamatore di origini argentine; la gang della Pigna Meccanica i cui componenti indossano «guanti da maniaco dei thrilling italiani anni Settanta» e, il più strano di tutti, un tizio che se ne va in giro nella capitale lombarda a picchiare la gente ed è soprannominato «Pesto alla milanese».
Le storie noir-demenziali-splatter di Pinketts sono solo pretesti per i suoi giochi di parole, arte in cui era un funambolo. La sua passione era smontare i luoghi comuni vecchi e nuovi, i tormentoni dei linguaggi televisivi, giornalistici, pubblicitari, proverbiali. «L’uomo che non deve chiedere mai» diventa «L’uomo che non deve chiedere mais perché si ciba di carne». «Il Deus ex Machina» diventa «Lo Zeus Ex Machina». Il programma «Chi l’ha visto?» diventa «Chi s’è visto si è visto». «Dulcis in fundo» diventa «Turpis in fundo». Per Pinketts le parole sono prigioniere delle nostre cattive abitudini, della nostra pigrizia. Lui scriveva per farle evadere dal carcere. Nelle parole Pinketts si perdeva. Se si imbatteva, per esempio, nel verbo «mormorare», subito gli scattavano associazioni automatiche, ricordi, musiche (dal Piave che mormorò dell’inno patriottico alla bambina che mormora nella canzone Balocchi e profumi) e Pinketts sguazzava in queste citazioni, in queste reminiscenze.
Fernanda Pivano disse che Andrea aveva il senso della frase, dote che tutti gli scrittori dovrebbero avere, ma pochi hanno
Fernanda Pivano disse che Pinketts aveva il senso della frase, una dote che tutti gli scrittori dovrebbero avere ma che pochi hanno. Un esempio di senso della frase? Eccolo: «Gli scrittori, soprattutto Proust, partono dal proprio passato per liberarsene». In questo libro, Pinketts ha cercato di liberarsi del suo presente e di far tornare il passato. In una pagina datata 12 novembre 2018, appena poco più di un mese prima del giorno in cui sarebbe morto, scrive: «Le luci della sera al Trottoir sembravano fuochi fatui in un circo buio».