La Stampa, 15 aprile 2019
La mamma di Moise Kean restituisce l’aiuto ricevuto
Volontariato, come se bastasse dirlo per aprire porte e orizzonti, ma la parola deve avere un significato per funzionare e il senso spesso sfugge, scivola sotto le buone intenzioni. Così Isabelle Kean prova a ricucire ogni lettera sopra un gesto. Sopra un ricordo: «Perché io e i miei figli abbiamo avuto bisogno di aiuto e non lo dimentico. Voglio restituire».
Lei è la mamma di Moise Kean, il diciannovenne che segna a ripetizione con la maglia della Juve, il futuro della nazionale, il simbolo di una generazione e finalmente di una abituata alla multietnicità. Isabelle è soprattutto la donna che ha cresciuto questo talento: applaude ogni gol come fosse una benedizione ed è rimasta incredula ad ascoltare i fischi razzisti arrivati a tradimento qualche settimana fa. Non se ne è stupita e neanche se ne è fatta una ragione, ha semplicemente deciso di andare avanti per la propria strada e ora è diventata la voce di un’iniziativa sociale organizzata dalla città di Asti, il posto che l’ha adottata e le ha mostrato quante facce ha l’Italia. Quella dei porti chiusi e pure quella delle case aperte, come la struttura dedicate alle donne che arrivano nel nostro Paese con dei minori e non sanno dove andare.
È la prima tappa di questa campagna sociale mirata a diffondere il volontariato: «Non in tutte le culture è capito, molti stranieri si spaventano, temono di essere sfruttati per lavori non pagati. Sarebbe bello invece che chi è arrivato qui e si è costruito una vita ci fosse per chi deve ricominciare da capo». Lei è partita dalla Costa d’Avorio nel 1990, i suoi figli Giovanni e Moise sono nati qui, italiani che pure devono dimostrare di esserlo. Figli di un Paese in crisi di identità.
Quando si è trovata di fronte le ragazze un po’ spaesate residenti nelle case-famiglia, ha stretto mani e ascoltato storie: «Sei mamma e quindi non sarai più sola». Non tanto un consiglio quanto l’unica sicurezza. È quello che è successo a lei, nel periodo più turbolento della sua esistenza si è concentrata sui bambini, sulle loro esigenze, senza farsi domande o cercare spiegazioni delle storture nel sistema, senza cercare logica nella diffidenza. Ha superato stanchezze e difficoltà e quando un Kean ancora parecchio ribelle ha firmato il contratto con la Juve si è sentita dire: «Adesso non dovrai più lavorare». Adesso vive a Venaria, vicino a lui e ai campi di allenamento, ma torna ad Asti per questo impegno, per rifrequentare l’oratorio che l’ha sostenuta.
Da maggio Isabelle Kean si occuperà di politiche sociali e i ragazzini già le vengono incontro con la maglia bianconera, si fidano, la ascoltano perché ha un figlio che gioca in Serie A, il primo nato in questo secolo a lasciare la firma sul nostro campionato. Ed è questa l’unicità, non la sua pelle, ma la sua età. In Italia fatichiamo a lasciare spazio ai giovani, lui se lo è preso con l’ irruenza che concede lo sport e la determinazione imparata dalla mamma.
Isabelle non ama rievocare gli anni bui ma non ha alcuna intenzione di rimuoverli. L’hanno portata fino a qui, fino a essere un esempio: «Avere questa considerazione è importante. Sono emozionata e anche felice di poter dare una mano in una città che mi è cara. C’è un proverbio che dice: ricordati da dove sei venuto».
Dall’Africa, da Vercelli, primo approdo italiano della famiglia Kean, da Asti, da mestieri duri, da madre di uno che guadagna cifre da paura ed è ancora adolescente. Non c’è una faccia sola, ognuno si porta dietro il proprio viaggio e quello di Isabelle ha incrociato una parola che l’ha sorretta: volontariato. Ora vuole spiegarla a chi non la conosce, la spreca o la usa male. Sarà un lavoro lungo .