Corriere della Sera, 15 aprile 2019
O’ Keefe racconta la sua fuga dall’Arabia Saudita
È l’estate del 1976. In un umido ascensore del Grand Hotel di Cannes l’esistenza di Eamonn O’Keefe, 22enne irlandese, cambia in pochi secondi. Fino a un minuto prima, il biondo Eamonn vive un sogno: è il primo calciatore europeo a giocare in Arabia Saudita, dove guadagna più di quanto avesse mai sperato. Si allena due volte a settimana, guida una Pontiac Ventura argentata e abita in una grande casa con piscina a Riad, dove si è trasferito dalla triste Plymouth pochi mesi prima con moglie e figli per diventare il centravanti dell’Al-Hilal, la squadra di proprietà dello sceicco padrone del Paese.
Non è un campione: un brutto infortunio gli ha compromesso la carriera ma a volerlo lì è stato l’allenatore George Smith, che gli ha procurato un provino e poi un contratto, e tutto – racconta oggi il 65enne O’Keefe alla Bbc — «filava per il meglio». Finché in quell’ascensore in Francia, dopo una serata al casinò, il principe Abdullah bin Nasser, presidente della squadra e nipote del fondatore dell’Arabia Saudita, poggia una mano sulla spalla del suo giocatore preferito e con l’alito appesantito da whiskey e sigarette sussurra: «Devo dirti una cosa. Ho capito che mi sto innamorando di te».
Cominciano così i problemi per O’Keefe, che al momento se la cava con un gentile rifiuto ma presto capisce di essersi cacciato in un grosso guaio. Perché in Arabia Saudita l’omosessualità è un reato. E l’uomo che gli ha appena fatto quella confessione così intima è onnipotente e potrebbe decidere, si convince O’Keefe, di farlo tacere. A ingigantire le sue paranoie ci pensa l’allenatore Smith, a cui Eamonn racconta i fatti di Cannes appena rientrato: «Non lasceranno cadere la cosa, idiota. Sei in pericolo, può succederti di tutto: te ne devi andare». E anche in fretta: prima che la sua famiglia torni dalle vacanze in Inghilterra, o rischiano di rimanere per sempre in quella prigione dorata.
Ma c’è un altro ostacolo. Per lasciare l’Arabia Saudita ci vuole un visto d’uscita firmato dal suo capo: cioè lo stesso principe da cui O’Keefe vuole scappare. Così il giocatore organizza quel che oggi chiama «il bluff del secolo». Chiede ad Abdullah, che nel frattempo ha tirato su un muro di ghiaccio nel loro rapporto, di poter tornare in Inghilterra per una settimana, perché «mio padre – mente il calciatore – sta male e ho bisogno di vederlo». Il principe lo tiene sulle spine una giornata intera, poi lo richiama nel suo ufficio e chiude la porta: «È per quello che è successo in Francia? Non credo che tornerai più». Gli sottopone un foglio scritto in arabo: «Dice che puoi stare via solo una settimana. Firma qui». O’Keefe rilancia senza avere niente in mano: «Mi devo fidare di un documento che non capisco, ma tu non ti fidi di me? Va bene, ecco». Appena prima di firmare, il presidente strappa il foglio: «Vai, ti organizzo un volo».
O’Keefe parte con i vestiti contati per sette giorni, ma non tornerà mai più. Non rivedrà i suoi soldi, bloccati sui conti in Arabia. Anzi, dovrà restituirne al principe: 300 sterline «che non mi aveva mai prestato. Una sua vendetta». Ma riuscirà a sorprendersi ancora: i gol con l’Everton lo porteranno fino alla nazionale irlandese. Ora è quasi grato al principe innamorato: «Senza quella proposta sarei rimasto in Arabia. In fondo, volevo solo giocare a calcio».