Il Messaggero, 15 aprile 2019
Come cancellare i 12 miliardi di debito di Roma
Per capire a chi sarà presentato il conto finale della cancellazione dei 12 miliardi del vecchio debito della Capitale, se ai romani o al resto degli italiani, bisognerà attendere che il decreto crescita veda finalmente la luce. Ma nel duro braccio di ferro in atto tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega, si può provare a mettere qualche punto fermo. La gestione commissariale che si occupa del rimborso del debito riceve ogni anno 500 milioni, 300 dal Tesoro (dunque da tutti i cittadini) e 200 dai romani che pagano un’addizionale Irpef del 4 per mille. In realtà, nelle casse del commissario arrivano 320 milioni, perché per far fronte alle rate dei mutui che gli anni scorsi erano superiori al contributo ricevuto, il precedente commissario, Massimo Varazzani, si era fatto anticipare circa 4,5 miliardi di euro dalle banche e dalla Cassa depositi e prestiti scontando fino al 2040 180 milioni dei 500 dei contributi ricevuti ogni anno e pagando al Campidoglio 2,6 miliardi. Oggi nelle casse del nuovo commissario restano circa 800 milioni, sufficienti ancora a pagare la rata di 521 milioni sul debito per il 2019. Dal 2020 in poi non ci saranno abbastanza soldi per saldare le rate dei mutui, almeno fino al 2030. Il commissario, insomma, rischia di trovarsi a corto di liquidità. Da qui la necessità di trovare una soluzione, a meno di non voler rischiare il fallimento della stessa gestione commissariale. Ma quale soluzione? Una strada sarebbe quella, come prevede la stessa legge, di scontare un’altra parte del contributo. Siccome quest’ultimo è perpetuo, si potrebbero attualizzare i versamenti dal 2019 al 2040 oggi non ancora impegnati. Non sembra questa, però, la via che vorrebbe percorrere il governo. L’intenzione è quella di trasferire il debito finanziario direttamente al Tesoro. Si tratta di 9 miliardi dei 12 complessivi. Gli altri 3 miliardi sono debiti commerciali che tornerebbero invece al Comune. Tuttavia, lo Stato non dovrebbe conteggiare nei suoi conti tutti i 9 miliardi, ma soltanto 5 miliardi circa. Gli altri 4 miliardi sono interessi.
Ma perché oggi vengono conteggiati nel debito? Perché mentre la quota capitale è rimasta in capo al Comune di Roma, il servizio, ossia gli interessi sul debito, vengono saldati indirettamente dallo Stato. Così gli organismi che vigilano sui conti hanno chiesto, per trasparenza, che gli interessi venissero sempre conteggiati nel debito residuo. Ed in effetti lo stesso Comune gira i suoi 200 milioni al Tesoro che, a sua volta, li trasferisce al commissario che, infine, paga le rate dei mutui. E qui si arriva a un primo punto.
Senza i 200 milioni circa dei soldi che arrivano dall’Irpef dei romani e dalle tasse aeroportuali, il contributo del Tesoro non sarebbe sufficiente a ripagare il debito. Le strade percorribili allora sono due: la prima (che non va bene ai Cinque Stelle) è che il Campidoglio continui a versare la sua parte; la seconda (che non va bene alla Lega) è che il Tesoro, e quindi tutti i contribuenti, si facciano carico anche della parte restante.
C’è un’altra questione da chiarire. Per anni si è parlato della possibilità di rinegoziare i vecchi mutui del Comune che sono nella stragrande maggioranza dei casi accesi con la Cassa depositi e prestiti. Si tratta di debiti a tasso fisso che pagano mediamente il 4%. Oggi in realtà la rinegoziazione è diventata meno conveniente, visto che con l’aumento dello spread il Btp a 30 anni è stato collocato a febbraio al 3,85%. Ma ci sono ostacoli maggiori che fino ad oggi hanno impedito di ridiscutere i mutui con la Cassa depositi e prestiti. Il più importante è che per la rinegoziazione servirebbe una norma che non potrebbe limitarsi solo a Roma, ma che dovrebbe riguardare tutti i Comuni d’Italia che hanno sottoscritto mutui simili negli stessi anni. Fino ad oggi scrivere questa norma si è rivelato problematico, perché metterebbe a rischio gli equilibri di bilancio della stessa Cdp e il risparmio postale. Una via alternativa sarebbe quella di rimborsare i vecchi mutui alla Cassa sostituendoli con debito pubblico classico (i Btp appunto). In teoria qualcosa si risparmierebbe, ma chi ha letto i contratti di quei mutui sottolinea come siano imbottiti di penali salatissime, che a volte arrivano fino a chiedere di pagare tutti gli interessi. Il rebus, insomma, non è facile da risolvere. Il Campidoglio vorrebbe, giustamente, alleggerire il fardello dell’Irpef sui romani. Ma che il pasto non sia gratis lo dimostra il braccio di ferro politico di questi giorni.