la Repubblica, 15 aprile 2019
Come funziona la Commissione europea
Bruxelles Emilio Caruso era solito percorrere gli interminabili corridoi del Berlaymont per smistare tra gli uffici della Commissione europea documenti listati con il bordino rosso e la scritta top secret. Dopo una quarantina d’anni di servizio come archivista, funzionario più longevo nella storia dell’istituzione, ormai è in pensione. Pioniere della Comunità, ricordava le origini dell’esecutivo Ue, nato sulle macerie della Seconda guerra mondiale, pensato dai padri fondatori per riconciliare Francia e Germania e dire” mai più” guerre in Europa. Amava parlare dei tempi in cui a Bruxelles c’erano appena 30 giornalisti accreditati che insieme a una manciata di portavoce pranzavano alla Rosticceria Fiorentina o al Padrino, in Rue Archimede, dove tra litigi, risate e scoop si parlava rigorosamente in francese. Oggi la Commissione europea è un gigante da 32mila persone tra funzionari e dipendenti. I cronisti accreditati sono più di mille, rendendo quella del Berlaymont – palazzone sorto dove una volta c’era un monastero – la prima sala stampa del pianeta, gestita da un esercito di portavoce anglofili. Per gli euroscettici un costoso mastodonte, per gli europeisti una delle più efficienti burocrazie al mondo, più snella di molte amministrazioni statali o locali ( Roma ha il doppio dei dipendenti). La Commissione è un animale strano: governo dell’Unione, arbitro chiamato a far rispettare i Trattati ai governi ma sempre soggetto ai loro umori, camera di compensazione dove gli interessi nazionali vengono metabolizzati in interesse europeo. Esecutivo dell’unica organizzazione sovranazionale del pianeta, è governato dalla perenne tensione tra tecnocrazia e politica. Propone direttive nei settori in cui governi le danno competenza, ne negozia i testi con Parlamento e gli stessi governi che siedono al Consiglio, una sorta di seconda Camera di fianco a Strasburgo. Le sue decisioni sono sempre soggette al controllo della Corte di giustizia del Lussemburgo. I funzionari sono distribuiti su quasi trenta Direzioni generali, ognuna guidata da un commissario europeo, l’equivalente di ministeri e ministri. Non tutti i dipendenti, specialmente dopo l’allargamento a Est del 2004, ricordano però lo spirito dei pionieri, la missione storica della delicata creatura per cui lavorano. Per molti è ormai un semplice un luogo di potere e laute buste paga. Nonostante la progressiva perdita di memoria, tutti capiscono le difficoltà di un’istituzione sempre più spesso elevata a capro espiatorio dai governi nazionali, che cerca di far rispettare ai politici eletti valori e regole fondanti dell’Unione e della democrazia liberale. Come nella battaglia per la difesa dello stato di diritto in Polonia e Ungheria oppure l’infinita disputa sui conti italiani. Un ruolo scomodo, nel quale la Commissione deve agire di soppiatto per evitare di essere messa alla berlina dai governi. Negli anni l’esecutivo Ue si è trasformato in attore politico e l’attuale presidente, il lussemburghese Jean- Claude Juncker, con alterni risultati, ha cercato di accentuarne l’evoluzione che piace ai federalisti e fa infuriare i governi euroscettici. Nel 2014 Juncker è stato il primo presidente nominato dai capi di Stato e di governo in quanto candidato alla poltrona del partito vincitore delle europee (Ppe). Merito del sistema degli Spitzenkandidaten, che impone ai partiti di dichiarare prima del voto chi è il loro candidato alla guida della Commissione: oggi il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel però vorrebbero demolirlo, per ridare alle capitali totale controllo su Bruxelles. C’è poi la burocrazia interna, che continua a pesare. E chi la controlla incide sulle scelte dell’Unione. Lo fanno bene i Paesi più maturi e strutturati come Germania, Francia, Spagna, Olanda, Polonia e lo stesso Regno Unito. Oggi a comandare in Commissione è il tedesco Martin Selmayr, ex capo di gabinetto di Juncker nominato Segretario generale della Commissione con una procedura tanto spericolata da avere innescato la richiesta, snobbata, di dimissioni da parte dell’Europarlamento. Anche gli italiani fanno strada, ma devono la carriera esclusivamente alle proprie capacità, spesso dimenticati dai governi a Roma. Comunque oggi l’Italia conta moltissimo, almeno ai vertici, con Mario Draghi alla presidenza della Bce, Federica Mogherini Alto rappresentante Ue e Antonio Tajani alla presidenza dell’Europarlamento. Dopo le elezioni europee di fine maggio sarà impossibile mantenere tante poltrone e allora sarà fondamentale che Roma mandi a Bruxelles un commissario stimato e capace di prendere un portafoglio di peso. Con le incertezze legate al nuovo rinvio della Brexit ( 31 ottobre), comunque, il mandato di Juncker potrebbe essere prolungato fino al 31 dicembre, se non oltre. Un caos che potrebbe favorire chi vuole far saltare i candidati del Ppe e del Pse, Manfred Weber e Frans Timmermans. Con la sorpresa dietro l’angolo: si parla di personalità gradite a Macron come il francese Michel Barnier e la danese Margrethe Vestager. Ma la nomina dovrà tenere conto degli equilibri geografici e politici delle altre poltrone in ballo: Bce, Consiglio e Parlamento. E chissà che alla fine a garantire l’interesse generale non sia chiamata Angela Merkel, la grande mediatrice che molti vorrebbero alla guida del Consiglio dopo il polacco Donald Tusk.