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 2019  aprile 14 Domenica calendario

I libri della Signora in giallo

Non si esce vivi dagli anni Ottanta. Lo cantava Manuel Agnelli, prima di regalarsi la propria parentesi di vita rampante nella scatola dorata di X Factor. E nessuno gli renderà mai abbastanza merito per aver insolentito a più riprese la parte più tatuata dai Ferragnez. Se poi all’epoca avesse abitato a Cabot Cove, paesino immaginario in cui lo sceriffo era un tizio stretto in una divisa improbabile, inadeguato, inutilmente pacioso, no, non Salvini, Howard Cunningham, cioè Tom Bosley, insomma lui, le possibilità di defungere anzitempo sarebbero cresciute a dismisura. Merito o colpa di Jessica Fletcher, anzi Angela Lansbury, insomma lei, sedicente scrittrice, giallista per diporto nonostante non fosse nata a Bologna come il 92,7 per cento degli scrittori di thriller presenti sul globo terraqueo, le cui indagini maldestre albergavano, nella loro versione televisiva, laddove oggi evoluisce la Prova del Cuoco. Dal 2 ottobre 2000. Il giorno in cui finirono ufficialmente gli anni Ottanta, con circa un decennio di ritardo. E senza superstiti. La fine dell’innocenza vive (o muore, in questo caso) quasi sempre di passaggi casuali eppure plateali. Quando Dallas, J.R., cioè Larry Hagman, insomma lui, si trasferì dalla Rai a Canale 5 dopo appena una stagione, insieme a Sue Ellen, cioè Linda Gray, insomma lei, si compiva una mutazione genetica. L’ente di Stato si era fatto contaminare dal nuovo e dal brutto, dall’inevitabile e dall’indicibile. Il Dna originario, le buone cose di pessimo gusto, evaporavano veloci, lasciando campo libero all’originale con un semplice cambio di palinsesto. A maggior gloria degli altri, i presunti concorrenti. Tipo il Pd quando mandò in onda la serie su Renzi. Dal 2011 La Signora in giallo è passata pure lei a Mediaset, su Rete 4, a gloria incidentale di un altro tizio che campeggia sui 6x3 elettorali in vista delle Europee, intimandoci di aprire gli occhi.
Proprio lui che dopo tutti quei lifting non riesce ad aprirli. Un monito del dato reale che forse neppure Manuel Agnelli poteva prevedere: non si esce vivi dagli anni Ottanta perché forse non sono mai finiti davvero. E ci guardano, mentre i loro figli passano da un disastro all’altro, da un manifesto, da una convention politica, persino da un libro. I tomi di Jessica Fletcher andrebbero assunti per via sublinguale, come una di quelle pastiglie che servono a prolungare l’effetto di stordimento in certi Afterhour. Continuano a uscire senza un motivo plausibile. Li ha scritti per lunga pezza Donald Bain e ora se ne occupa Jon Land. In realtà i tomi sono tutti firmati anche dalla Fletcher in persona. Le note gigioneggiano pure: «Qualcuno sostiene assomigli all’attrice e star di Broadway Angela Lansbury». Si punta perciò a un pubblico che creda DAVVERO nell’esistenza di quella petulante vecchina (uso questo termine perché su Robinson "scassacazzi” potrebbe sembrare un filo fuori luogo). Un abuso della credulità popolare piuttosto semplice a queste latitudini, ove si pensi che una parte importante del Paese ritiene DAVVERO che Giuseppe Conte sia presidente del Consiglio. Con Casalino al posto di Land. Ma rispetto al coté di mondanità casereccia cui eravamo abituati prima del Tg1 delle 13.30, la trama aspira all’empireo, in una sorta di curiosa crasi tra I sei giorni del Condor, il romanzo di James Grady da cui fu tratto il quasi omonimo film con Robert Redford, e Designated Survivor, la serie con Kiefer Sutherland in cui un grigio burocrate si trova catapultato alla Casa Bianca da una tragedia e ne governa gli esiti mirabilmente. Tipo Draghi tra pochissimo. Qui abbiamo un editore morto suicida, proprio quello della signora in giallo, un turbinio confuso di carte compromettenti, minacce assortite… ma non voglio rivelare il finale ché è sorprendente proprio come tutti i libri della serie. Leggerlo? Usarlo come scherzo per gli amici?
Incorniciarlo come memento sul modo meno ridicolo di affrontare l’incedere del tempo (in copertina c’è la Lansbury verosimilmente ritratta all’atto della prima comunione: è comunque meglio della sarabanda di Photoshop che ha finito col mettere Scarlett Johansson sui manifesti elettorali della Meloni)? Non saprei. Ma spero molto nel film. Un po’ come accadde col commissario Rex, potremmo pure produrlo qui ed esportarlo nel mondo, magari con un’interprete locale. Sempre se Franca Leosini ha un buco libero nell’agenda.