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 2019  aprile 14 Domenica calendario

Intervista a Vasco (seconda parte)

Vasco dice: «Vedi? Questa sembra la bandiera americana ma se la guardi bene le stelle sono bianche su fondo rosso e le strisce, invece, sono verdi: è la bandiera italiana. Era stata una mia idea, ma non è che ai tempi l’avessero tanto capita sai...». Sta guardando il retro della copertina dell’album originale in vinile di Non siamo mica gli americani, il suo secondo disco del 1979. Quello di Albachiara. Ma anche quello di Io non so più cosa fare, pezzo sicuramente meno noto ma forse, per alcuni motivi che scopriremo, quasi più importante. Almeno per Vasco.
Non c’è nessuno che non conosca Albachiara, una canzone entrata nell’immaginario italiano. Come sei riuscito, tu che sei un uomo, a cogliere certi aspetti dell’animo femminile?
«Mah, forse perché sono cresciuto in mezzo alle donne: la mamma, la tata, la zia Edwige. E questo ha sicuramente contribuito ad aumentare la mia sensibilità femminile. Ma, a dire il vero, Albachiara è stata la mia prima canzone provocatoria. Per me l’artista deve essere provocatore, deve provocare le coscienze. Se non lo fa non ha quasi senso la sua esistenza. Vedi allora che Albachiara è una provocazione perché in quei tempi parlare di masturbazione femminile era qualcosa di più di un tabù. Tutte le mie amiche degli anni 70, non era una cosa che ammettevano, neanche le più femministe. Non ne parlavano mai. Quindi figurati metterla in una canzone...».
Anche perché parlava di una ragazza qualunque non un’attrice o una modella.
«Esatto: una ragazza pulita, giovane. Bella per quello, no? Chiara. Ma che, giustamente, aveva le sue esigenze dal punto di vista sessuale. Ha fatto scandalo ma era solo l’inizio. Dopo è arrivata Siamo solo noi che ti diceva: “Guarda che c’è un altro mondo di cui non parla proprio nessuno, che si fa finta che non esista e invece c’è: siamo noi”. Io, i miei amici, le persone normali che vedevi al bar e che non raccontava nessuno. E comunque, tornando alle donne, credo di saperle raccontare perché io le amo tantissimo le donne!».
Beh, si capisce: hai dedicato tantissime canzoni a loro: Toffee, Gabri, Laura...
«Perché io le amo in tutti i loro aspetti le donne. Innanzitutto le rispetto come persone ma amo anche la “femminilità”, quella cosa per cui le sento così diverse da me, questo rapporto tra maschio e femmina che si incontrano e che per me è una cosa bellissima».
C’è una tua canzone, Io non so più cosa fare, che dice: “lei insiste/ mi vuole proprio fare/ magari è femminista/ e non vuole certo farsi violentare/ ma vuole gestire/ allora come devo fare/ dove la bacio, come la devo toccare, eh...”.
«È stata la mia prima storia d’amore vera. Avevo diciott’anni e il primo anno in cui siamo stati insieme ero innamoratissimo. Però sono sempre stato molto ingenuo, molto immaturo per cui è chiaro che mi scontravo con la maturità delle donne. Io in confronto ero un bambino. Allora c’erano le rivendicazioni del femminismo e il mito della sincerità, della spontaneità. Io con la spontaneità mi sono sempre salvato: pensa che una volta mi hanno dato un tema che a me mi ha proprio cambiato la vita, la prospettiva...».

Che tema era?
«Questa vale la pena di raccontarla perché spiega bene come sono io. Sai le “sliding doors”? Beh, quello è stato uno dei primi momenti in cui ho preso una porta che ti conduce da una parte piuttosto che da un’altra. Io non ero molto adatto alla scuola perché facevo fatica a sopportare le regole. Finché un giorno arriva questo professore d’italiano molto illuminato che mi ha fatto capire che non si devono sempre accettare le cose che ti vengono imposte, come si fa da piccoli, ma puoi anche decidere se sono giuste o no. Così un giorno arriva a scuola e dice: “Oggi non vi do il titolo: dovete inventarlo voi, questo si chiama Tema Libero”. Mi metto a pensare ma non sapevo proprio che titolo mettere: “Le mie vacanze”? Boh. Dopo un’ora tutti scrivevano come matti e io zero. Finché mi viene un’idea: “Io, se non mi date un titolo, non sono capace di scrivere niente”. Poi comincio a criticare: “Guardate come mi avete ridotto: dopo 15 anni di scuola, non ho più fantasia. Se non vengo guidato non riesco neanche a pensare!”. Avevo paura di aver fatto una stronzata pazzesca: “Adesso chissà che cosa cazzo mi dice!”. Il mio tema non arrivava mai. L’aveva tenuto per ultimo e –sorpresa – mi aveva dato dal 9 al 10. Ed era uno che non dava più di 7 eh! Quello per lui era il voto massimo. E dice: “Questo è un tema che mi fa sopportare di essere un professore, di avere una 500 gialla, una moglie”. Quel momento fu fondamentale per me: lì ho avuto l’illuminazione: “Se dico sempre quello che penso mi salvo”. Da allora in poi ho sempre fatto così».
Quindi però con questo vuoi dire che hai avuto problemi con la ragazza della canzone a causa della tua sincerità?
«Esatto. Perché insomma, mi metto insieme con questa ragazza di cui ero innamorato e dopo un po’ di tempo lei mi fa: “Dimmi la verità, quest’anno hai avuto delle altre storie? Guarda che se me lo dici non c’è problema”. E io, ingenuo, perché è chiaro che è ingenuità quella lì e basta, se non avessi detto niente non ci sarebbero stati problemi, le racconto che avevo avuto due storie. Ma perché erano storie così, che avevo già e che volevo chiudere, non è che queste ragazze le avevo incontrate mentre stavo già con lei, erano storie di prima. Quando ti innamori non ti sparisce mica tutto quello che hai intorno no? Era capitato che le avevo riviste, ma erano storie finite. Per me davvero contava solo lei».
E a quel punto cosa succede?
«Che mi ha mandato a cagare e se n’è andata. E mi è crollato tutto il mondo addosso. Anche perché anche in questo caso come era successo per il mio maestro di canto (vedi puntata precedente su Robinson di domenica scorsa, ndr) io ho pensato: “Allora non ci si può fidare delle persone”. Questa è stata un’altra delle delusioni che mi ha segnato perché io ci credo alle cose che si dicono... Poi se gli altri dicono le cose così tanto per dire, beh io non sono fatto in questo modo, io ci rimango male e però allora se è così che vadano affanculo!».
E lei non è più tornata?
«Sì, dopo una settimana è tornata. Io soffrivo come un cane e lei mi fa: “Guarda, io non riesco a lasciarti, torniamo insieme. Al massimo aspetto che sia tu a lasciarmi”».
Un lieto fine!
«Da quel momento lei ha sistematicamente incominciato a distruggermi. Mi voleva uccidere, capito? Io ero quello sbagliato da tutti i punti di vista. Diciamo che tutti i miei difetti fisici, mentali, psicologici ormai li conosco perfettamente grazie a lei. In due anni mi ha massacrato: mi sentivo la merda più merda che calpestava la terra. A un certo punto ho anche cambiato città e per lasciarla ci ho messo sei mesi. Pensa che mi sono addirittura messo a calcolare i tempi giusti per cui le dovevo dire che l’avrei lasciata mentre contemporaneamente partivo per restare tre mesi a Zocca, sai allora tre mesi erano una vita. Quello era l’unico modo, sennò non ci riuscivo. E feci proprio così: ho fatto finta di niente fino a quando è arrivato giugno e l’ultimo giorno le dico: "Guarda, io non voglio più avere niente a che fare con te" e me ne vado. Mi ricordo che ero nel piazzale di Zocca a giocare a pallone e sento mia mamma che mi chiama dalla finestra, una volta si faceva così: "Vascooo! Vasco vieni che c’è la Paola al telefono". E io "Cazzo no, non è possibile". Vado su e lei incomincia a parlare e mi fa tutto l’intorto. Ci stavo ricascando di nuovo. Per fortuna — vedi a volte sono proprio le piccole cose che ti cambiano la vita — si ferma e mi fa: "Sono da un’ amica, torno a casa e ti richiamo". Mette giù il telefono e così io vado a prendere una bottiglia di whisky. Me ne sono bevuta metà per essere abbastanza forte, così quando mi ha richiamato riesco a dirle: "Non ne voglio più sapere, smettila, non mi chiamare mai più, lasciami perdere". Tac. Metto giù il telefono e finita la storia».
E non l’hai mai più sentita?
«Oh, ma figurati! Un po’ di anni dopo, quando ho avuto l’esperienza del carcere, mi ha scritto, così quando sono uscito l’ho rivista e abbiamo avuto un altro momento in cui ci siamo incontrati. Poi la storia è finita. Diciamo che io l’avevo rincontrata perché volevo dirle: “Guarda che un sacco di canzoni che ho scritto le ho scritte grazie a te, tanto che dovrei darti i diritti d’autore…”».
Quali?
«Tutte quelle in cui sono incazzato con le donne: da Brava fino a Io no. Ha tirato fuori il poeta che è in me (ride)».
Anche lì però dici: “Io no, io non ti perdonerò” e poi invece “io no, non ti dimenticherò” e persino “io no, non ti lascerò mai”: non eri proprio convinto ancora.
«Pensa che quella canzone l’ho scritta nell’ 88 e doveva finire nel disco che è del ’98. Ho passato vent’anni in cui non volevo innamorarmi più di nessuno: avevo rapporti per cui mi incontravo con una persona non più di tre o quattro volte e poi se diventava troppo importante la lasciavo. Proprio non volevo più avere storie. E non ne avrei più avute, secondo me, se non avessi incontrato la Laura (Laura Schmidt, compagna per decenni e dal 2012 anche moglie di Vasco e madre del figlio Luca)».
E a quel punto la Paola, al contrario di quello che dici nella canzone, l’hai finalmente dimenticata…
 «Con la Laura è successo qualcosa per cui mi sono detto: “Ecco, adesso puoi tornare a lasciarti andare”. E finalmente, dopo tanto tempo, ci sono riuscito. E così è nata la storia».
Ed è andata bene.
«Beh, è andata bene perché ci abbiamo lavorato. Ci abbiamo lavorato tutti e due, ognuno per la sua parte. Perché noi siamo gente che se fa un patto poi lo rispetta. Rispettare le promesse è fondamentale perché ti fa essere uomo invece che bestia. Io non sono moralista eh, ma per me la promessa è sacra. Quando hai un famiglia cambia tutta la tua vita. Ma io prima ero immaturo, ero in un altro viaggio, non mi rendevo conto di certe cose. Prima non avevo paura di niente, andavo contro tutto. Poi quando ti nasce un figlio e tu nel frattempo sei diventato consapevole, incominci ad aver paura di tutto. Adesso non posso più fare tante cose perché quando nasce un figlio non sei più tu figlio: cominci ad essere padre. E allora capisci che il mondo non gira solo intorno a te, cambia la prospettiva. Per tanti anni andavo in giro a fare musica: che mi fregava della casa, delle cose da fare, da amministrare? Io non mi rendevo neanche conto: andavo in giro, stavo nello "stupido hotel" e mi divertivo e basta. Non pensavo».
Poi invece che cosa è successo?
« È successo che a un certo punto mi sono rotto le palle».
Perché?
«Certe sere mi trovavo a piangere. E non sapevo perché. Allora ho pensato: " Devo fare una cosa per cui almeno se piango c’è un motivo: devo trovare un’ancora, un punto fermo. Insomma, una famiglia". Quando fai una famiglia non ami più solo la donna, ami il progetto. È per il progetto che si fanno i sacrifici. L’amore non dura? È logico che l’amore e soprattutto la passione non durino. Si trasformano. Ma l’amore per il progetto deve durare. E ai figli devi cercare di dargli almeno vent’anni di serenità con un padre e una madre che non litigano davanti a te: non puoi essere così imbecille da far soffrire loro perché tu egoisticamente cambi idea. Io quando vedo quelle smandrappate in televisione che dicono " Eh sai poi a 50 anni mi sono innamorato di quest’altro qua" penso: "Ma stai scherzando? Tu a 50 anni sei lì che ti innamori ancora? Ma se vedi che ti stai innamorando, chiudi subito, perché se no fai soffrire le persone, cazzo!". Non è che io sto difendendo quel modello di famiglia da bacchettoni di cui tanti adesso si riempiono la bocca mentre fanno tutto il contrario, sia chiaro: non esistono nelle realtà quelle famiglie da Mulino Bianco. Però bisogna usare il cervello e affrontare le cose, tutto qui».
Scusa ma per ritornare da dove eravamo partiti, alla Giovanna (la vera ragazza che ha ispirato Albachiara, figlia del barista sotto casa di Vasco a Zocca), glielo hai poi detto che era lei la protagonista della canzone?
«Eh, certo che gliel’ho detto, ma un bel po’ dopo. Eravamo in un locale, era diventata grande. Le ho detto: " Guarda che quella canzone lì io l’ho scritta per te"».
E lei come l’ha presa?
«Mi ha guardato come per dire: "Ma vaffanculo". Non ci credeva. E allora dagli e ridagli le ho fatto vedere che non scherzavo mica. Nel 1983 quando ho fatto "Non ci credevi eh?" le faccio (lo dice come nella canzone) e invece “ecco qua!” (ride)».
Infatti nel testo tu poi dici: "Una canzone per te/ come non è vero? sei te/ ma tu non ti ci riconosci neanche/ lei è troppo chiara/ e tu sei già troppo grande/ e io continuo a parlare di te"…
 «Esatto. Però attenzione: non sono canzoni " dedicate a", sono canzoni " ispirate da". Non è che io descrivevo la Giovanna come era veramente, infatti il personaggio reale non è esattamente quello di Albachiara ma l’idea era quella e quando gliel’ho detto ho fatto proprio quel ragionamento lì ma lei non ci credeva anche proprio perché non si riconosceva nella descrizione fisica».
Le donne di Vasco
«Sai nelle canzoni c’è la mia vita, anche se a volte poi nascevano delle leggende. In qualche caso ero io stesso a crearle. Per esempio ritornando a quella volta che sono andato a Sanremo per cantare Vita spericolata qualche giorno prima di partire ero finito contro un albero e avevo distrutto la macchina completamente. Io però non mi ero fatto neanche un graffio (ride). Allora me ne vado a casa e il giorno dopo chiamo il mio discografico, Rapallo e lui: "Va beh, va beh, se non ti sei fatto niente allora dai, ci vediamo giovedì a Sanremo". A quel punto ci ripenso un attimo, lo richiamo e gli dico: " Guarda che mi sono sbagliato: la macchina non si è fatta niente, io invece mi sono fatto male per trenta milioni (ride,

Se non me li dai non vengo a Sanremo". A quei tempi si viveva così: per vedere qualche soldo dovevi sempre ricattarli. Credevano che scherzassi: invece no. Non partivo. E infatti non sono partito fino a quando non mi ha dato l’assegno. Solo che a quel punto sono arrivato un giorno dopo e a Sanremo avevano già fatto le prove!».
E quando finalmente sei arrivato che cosa è successo?
«Tutti quelli che incontravo mi guardavano come fossi un marziano. Due amici mi fermano e mi dicono: "Sei matto, ti stavano aspettando tutti, ma dove sei stato?"’. E io: "Ho trovato due ragazze in autostrada, sai ci siamo un po’ divertiti…". Tutto inventato. Ma ecco, così nascevano le leggende. Io alimentavo. Ci stava, no? Io vivevo in quel viaggio lì. A quei tempi il rischio me lo prendevo per fare una vita così bella: ne valeva la pena. Tra l’altro se morivo in quel periodo morivo giovane. Sarei diventato una leggenda. Invece sono bastian contrario per natura: non li ho accontentati quei moralisti che mi avrebbero visto bene schiantato contro un muro. Quando sei giovane è così. Il periodo duro invece è arrivato dopo, quando quel senso di invincibilità passa».
Certo che scandalizzare ti piaceva molto. Quell’anno lì di Sanremo non c’era solo Vita spericolata: c’era anche un altro pezzo che ha fatto la storia che si intitolava Bollicine. Anche lì non c’erano allusioni?
«Io raccontavo le cose che vedevo. E quello che vedevo in quel periodo era che dopo il " tempo delle mele" era arrivato quello delle pere. Certo, è chiaro che io giocavo sulla Coca… Cola! Facevo apposta a ritardare nel dire la parola successiva, "Cola!", ma ancora una volta non era mica un inno: volevo che il benpensante si prendesse paura. Lui si aspettava Coca-ina? Eh, no: Coca-Cola!».
A proposito di Coca-Cola, non hai avuto problemi con la casa produttrice?
«In quel periodo mi voleva fare causa perché avevo danneggiato l’immagine "pura" (ride)

della Coca-Cola. Poi, invece, non hanno fatto niente».
Quest’anno, a Sanremo, c’è stata una forte polemica contro Rolls Royce di Achille Lauro che, per alcuni, era un inno alla droga. Lui ti ammira molto. A te piace?
«Sì, a me è piaciuto: anche lui ha fatto la sua provocazione artistica. Anche quelli della trap, come Sfera Ebbasta, sono interessanti: ci puoi vedere il disagio giovanile di oggi. Inneggiano alla scarpa firmata, alla macchina grossa, i soldi. L’idealismo di ieri è stato ucciso, non ci credono più ma invece di condannare dovremmo cercare di capirne il significato».
Questo essere tuo essere "bastian contrario" lo ritroviamo in uno dei pezzi più importanti che hai scritto: Portatemi dio in cui parli di Dio e/o della sua assenza, un tema che ritornerà.
«Ma pensa: questo è proprio un pezzo che voglio riproporre nei nuovi concerti che farò! Come facevi a saperlo?».
Non lo sapevo assolutamente, mi stai dando una notizia.
«Con i nuovi concerti di fatto è come se riprendessi un discorso con la gente che veniva a vedermi da quei tempi. Parlerò dell’inclusione perché è la cosa più ragionevole e lo farò prendendomi la responsabilità del caso perché poi non è che io voglio parlare della situazione politica italiana, parlo dell’inclusione e dell’esclusione, punto. E a quel punto ha senso rifare un pezzo come Portatemi Dio perché, visto che ce la stiamo prendendo con tutto, prendiamocela anche con lui. Per chi crede dio ha lavorato per sei giorni e il settimo si è riposato ma allora, visto come siamo messi poteva lavorare anche il settimo: così poteva perfezionarlo un po’ il mondo, no (ride)? Io credo che tutte le religioni aiutino a vivere meglio: per me se uno ha la fede è fortunato. Io purtroppo non ce l’ho, vedo le cose come stanno: credo che noi siamo un caso, che la vita è un caso, è una necessità, non è un dono. Io cerco di fare il meglio che posso ma non perché io devo essere buono o perché c’è un dio buono. È chiaro che aspiro a essere meglio di quello che sono ma per la gente che ho vicino, per mio figlio, mia moglie, per i miei amici e anche per me».
Siamo soli?
«Sì. Ma non c’è da preoccuparsi: a volte meglio soli che male accompagnati. Non voglio avere una visione troppo semplice, stupida della felicità».
Grazie Vasco.
«Grazie a te per la seduta di psicoanalisi».