Libero, 14 aprile 2019
Quello che nessuno dice degli imperatori romani
Ammettiamolo: è bello pensare a un Nerone imperatore saggio e amato ardentemente dai romani e immaginarsi un Ottaviano dissoluto nella vita privata e pubblica. Bisogna però fare attenzione: le riabilitazioni e le revisioni postume, pur affascinanti, possono essere pericolose se non si fondano su elementi certi, ma solo su interpretazioni favorite dalla notevole distanza temporale. Altro è invece se interrogano le fonti e colgono aspetti inesplorati o volutamente occultati delle biografie dei grandi del passato, svelando così le tante fake news che, per ragioni ideologiche, approssimazione storiografica o ignoranza, si sono sedimentate sulle loro figure. Se svolta in questo modo, un’operazione simile consente di non ridurre più le immagini dei protagonisti della storia a dei monoliti, associati sbrigativamente a un aggettivo: il Buono, il Cattivo, il Brutto, il Pio, il Saggio, il Clemente, il Vendicatore e così via. Come le nostre, anche le personalità di quegli uomini sono state infatti complesse, piene di chiaroscuri, contraddizioni, azioni luminose e nefande. E così, aiutati da pubblicazioni e mostre, è lecito avventurarsi nella rilettura dei profili di alcuni tra i più celebri imperatori romani, come Adriano, Diocleziano e Claudio. Il ritratto del primo, vissuto tra il 76 e il 138 d.C., è stato notevolmente influenzato dalla lettura dello storico Edward Gibbon che lo inserì tra i «buoni imperatori» e poi dal libro di Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano, in cui il princeps viene immortalato sotto le vesti di imperatore filosofo, illuminato, esteta, filelleno e raffinato. È bene invece risalire alla biografia messa a punto dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovius alla metà dell’800 e ora finalmente ripubblicata in Italia da Manzoni editore, con la curatela di Alessandro Nava Adriano e il II secolo, (pp. 484, euro 30), per cogliere l’altro volto dell’imperatore che, come nel rovescio di una medaglia con la sua effigie, fu croce oltre che delizia.
I PRESUNTI OMICIDI
Tanto per cominciare, il suo principato iniziò e terminò con omicidi di cui fu sospettato o da lui esplicitamente ordinati (anche se poi non eseguiti dal successore Antonino Pio). Nel mezzo, la morte del giovinetto Antinoo, di cui Adriano si era invaghito e forse da lui ucciso come rito propiziatorio, e quella della moglie Sabina, verosimilmente indotta al suicidio. Anche nella vita pubblica bisogna ricordare l’arrivismo sfrenato dell’imperatore e la sua megalomania, che lo portarono a riempire le province della sua immagine e a instaurare un potere dispotico, tale da ridurre il Senato a una sorta di corte personale, esautorata delle funzioni legislative o esecutive. E come dimenticare l’ossessione paranoica di Adriano per i nemici che tenne in un perenne stato di terrore la classe dirigente dell’impero e la sua superstizione che, più che un intellettuale innamorato dei valori ellenici, ne fece un seguace delle religioni orientali e dei loro sacrifici (a volte, umani). E, da ultimo, è giusto citare il suo atteggiamento intollerante verso gli ebrei, di cui non solo proibì alcune pratiche religiose, ma soffocò ogni rivendicazione con le armi. Sorte speculare ad Adriano ha avuto invece Diocleziano (244 – 313 d.C.), considerato l’iniziatore della fase declinante dell’impero, quella dei «secoli bui», e l’instauratore di un potere autoritario, ispirato alla tradizione orientale e paragonato al dirigismo sovietico. A Diocleziano si è anche rimproverato il ruolo di persecutore dei cristiani, tanto che nella storiografia la sua figura è associata spesso a quella del tiranno violento, pazzo o addirittura diabolico. E invece, come dimostra lo storico Filippo Carlà-Uhink nel libro Diocleziano (Il Mulino, pp. 224, euro 14), l’imperatore nato in Dalmazia fu un riformatore lungimirante: diede vita alla tetrarchia, un sistema di spartizione del potere, tra due Augusti e due Cesari, che consentiva di controllare meglio l’ampio territorio dell’impero e di garantire senza traumi la successione. Egli riformò anche altri aspetti della vita dello Stato: dall’esercito, che rese mobile e flessibile, aggiungendo alle truppe stanziate sul confine i soldati «comitatensi» che avrebbero garantito una difesa in profondità; al sistema amministrativo, attraverso la creazione di province più piccole che facilitassero la riscossione delle tasse; fino al sistema monetario con una delocalizzazione della coniazione, in luogo di un’unica zecca.
I CRISTIANI
Riformatore a livello politico-economico, Diocleziano fu anche custode dei valori della tradizione. In quest’ottica va letta la persecuzione dei cristiani: priva di un piano pre-ordinato e di assassinii sistematici, essa rispose soprattutto al fine di ristabilire la pax deorum, ossia quella concordia con gli dèi funzionale – secondo l’ottica religiosa del tempo – a garantire unità e stabilità all’impero. La stessa fine del principato di Diocleziano aggiunge nobiltà alla sua figura: tra tutti gli imperatori, fu il primo e l’unico ad abdicare, a testimonianza del suo scarso attaccamento al trono, e della sua ricerca di una «quiete» capace di farlo vivere «felice e beato veramente», come scrisse di lui un retore. Di certo non proprio attaccato al potere era anche Claudio (10 a.C. – 54) che imperatore diventò quasi suo malgrado, e che una lunga tradizione ha descritto come uomo inetto, inadeguato alla vita politica, nonché vecchio, balbuziente e succube delle sue mogli. Ora una mostra romana al Museo dell’Ara Pacis, intitolata «laudio imperatore. Messalina, Agrippina e le ombre di una dinastia, a cura di Claudio Parisi Presicce e Lucia Spagnuolo, recupera, attraverso reperti archeologici, opere d’arte e installazioni, un suo profilo semi-inedito. Ne viene fuori l’immagine di un buon imperatore e un imperatore buono capace di prendersi cura del suo popolo, di promuovere importanti riforme amministrative, come la creazione di una burocrazia moderna e centralizzata, di incentivare le opere pubbliche, dalla costruzione di strade e canali all’ultimazione degli acquedotti, nonché di ampliare i confini dell’Impero, conquistando nuove province come la Britannia. Forse allora ha ragione chi sostiene che la fama postuma dipende da chi canta le tue sorti dopo morte: ad Adriano è spettata la fortuna di avere una Yourcenar, mentre a Diocleziano è toccato uno storico russo, un certo Rostovtzeff, che lo ha descritto come uno Stalin ante litteram, e a Claudio un Seneca che lo immortalato come «l’imperatore-zucca». Ma non è mai troppo tardi per rifarsi un’immagine, anche se intanto sono passati un paio di millenni.