il Giornale, 14 aprile 2019
Il rugbista cita la Bibbia ma i gay si offendono
Troppo cristiano per giocare a rugby. Perché Israel Folau non è un cristiano all’occidentale, abituato a relativizzare i valori. No, lui è un ragazzo semplice cresciuto nella periferia di Sidney, i suoi genitori vengono da un’isola delle Tonga: e insomma se legge una cosa nella Bibbia pensa che sia vera.
È la sua fede, non la nasconde ma nemmeno cerca di imporla al prossimo. Ma nel mondo del politicamente corretto a venire lapidato è lui: che viene cacciato dal mondo in cui è cresciuto e vissuto, dallo sport che lo ha strappato agli slum della periferia. Stava preparandosi per i mondiali in Giappone del prossimo settembre, tranquillo del posto da titolare con la maglia numero 15, anche perché nessuno nella nazionale australiana ha segnato più mene di lui. Invece i mondiali li guarderà in televisione. E anche il suo club, i Waratahs di Sidney, ha annunciato il suo licenziamento in tronco, anche se è il recordman di tutti i tempi delle mete in campionato. Fuori. A fare traboccare il vaso è stato il post di Izzy – il suo soprannome – su Instagram di mercoledì scorso. «Attenzione! Ubriaconi, omosessuali, adulteri, bugiardi, ladri, fornicatori, ladri, atei, idolatri.
L’inferno vi aspetta. Pentitevi. Solo Gesù è il Salvatore». A scatenare l’indignazione non è stata ovviamente l’invettiva contro i bugiardi o gli etilisti, ma l’inserimento dei gay nelle categorie destinate al fuoco eterno. Anche perché su questo tema Izzy Folau è recidivo, avendo già criticato aspramente le leggi della Tasmania sui matrimoni omosessuali e sui certificati anagrafici no gender.
Non è la prima volta che rugby e religione entrano in dirittura di scontro: negli anni Ottanta fece scalpore il caso di un All Blacks che rifiutava di giocare alla domenica, giorno sacro al Signore. Ma il caso Folau esplode in un mondo assai cambiato, dove la battaglia alle discriminazioni di genere prevale sul diritto di ciascuno di professare apertamente la propria fede.
A Izzy, che è un cristiano pentecostale, membro delle Assemblee di Dio, la cosa non è andata giù. E recentemente a chi gli chiedeva di abbassare i toni aveva risposto pubblicando su Instagram il passaggio della lettera di San Paolo ai Galati in cui l’apostolo se la prende con «fornicazioni, ubriachezze, impurità». Poi si era infilato la maglia, messo le scarpe con i tacchetti e aveva segnato un’altra meta pazzesca delle sue.
Nel decidere la sua cacciata per motivi religiosi un ruolo importante – e forse decisivo – lo hanno avuto gli sponsor dei Wallabies, la nazionale australiana. Prima la Land Rover, che ha costretto Izzy a restiturie la vettura omaggio che aveva ricevuto come tutti i giocatori.
Poi la Qantas, lo sponsor principale: il cui amministratore delegato, Alan Joyce, è dichiaratamente gay. Di fronte alle pressioni di quelli che mettono la grana, la federazione australiana si è arresa. «Il contenuto del post di Falau è inaccettabile» ha fatto sapere con un comunicato. «Esso non rappresenta i valori dello sport ed è irrispettoso dei membri della comunità rugbistica». L’indomani, Folau ha incontrato i vertici. «La nostra posizione non è cambiata», ha detto la federazione. Quella di Izzy, c’è da scommetterci, neanche. Cos’è un mondiale, davanti al regno dei cieli?