Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  aprile 14 Domenica calendario

Studiare gli stupidi per evitare di fare gli stupidi

«Una persona stupida è più pericolosa di un bandito». Nel suo The Basic Laws of Human Stupidity, pensato come affettuoso regalo natalizio per selezionare gli amici a partire dal Capodanno successivo (pubblicato da Il Mulino nel 1988 con il titolo Allegro ma non troppo), l’emerito storico dell’economia Carlo M.Cipolla descrisse le cinque leggi fondamentali della stupidità, che impongono, all’intelligente come allo stupido, di non sottovalutarsi e non sottovalutare gli altri stupidi, a meno di non appartenere ad una delle seguenti altre categorie: banditi o disgraziati. 
Non c’è limite al potere della stupidità: «non c’è praticamente nessun pensiero importante che la stupidità non sia in grado di utilizzare, essa è mobile in tutti i sensi e può indossare tutti i vestiti della verità. La verità invece ha solo una veste in ogni occasione, e solo una via, ed è sempre in svantaggio»; era il 1937 e le parole del drammaturgo illuminarono la platea della Lega austriaca a proposito di uno dei sentimenti più diffusi e ciò nonostante meno indagati e più equivocati della storia. 
«Bête comme un peintre», la celebre battuta attribuita a Duchamp che circolava a Parigi a inizio novecento, ha suggerito a intere generazioni d’artisti che l’intuizione dello stupido, a volte, può superare la conoscenza del saggio. Ora la filosofia prova nuovamente a raccontare il fenomeno, partendo da una parola francese particolarmente efficace che è bene (sarebbe in ogni caso inutile) tradurre: con(il riferimento è anatomico, anche nella nostra lingua). Inutile cercare la parola corrispondente in italiano, perché ne comprende diverse, a seconda del fenomeno che esprime. 
A darci la lezione, un nouveau philosophe, specialista di Spinoza, Maxime Rovere, con un essai di editoria cartesiana, fondata narrativamente sui principi dell’evidenza, della dimostrabilità e dell’altalena tra cuore (spinta) e ragione (attrito). Que Faire des Cons? può essere tradotto, semplificando, in questo modo: come evitare e poi, non essendo ciò possible, come gestire un idiota? Rovere applica al suo pamphlet due efficaci premesse: la prima è un certo sentimento di meraviglia verso il fenomeno della stupidità, che in qualche misterioso modo risulta scritta nel codice stesso della vita e della società; la seconda, metodologicamente più importante, è l’apparente paradosso della connerie, che coincide con l’assenza di empatia: lo stolto calpesta irresponsabilmente la vita e gli altri; più ci avviciniamo alla comprensione del con, più ci allontaniamo dal sentimento di empatia verso di lui (senza inizialmente comprendere che da una parte si tratta di un comportamento, dall’altra della stessa natura umana), più mutiamo noi stessi, irrimediabilmente, in un miserabile con.
Resta l’equivoco del chi e del quando: siamo tutti con, in qualche momento oppure qualcuno è con, a prescindere? E, soprattutto, perché il potere (e chi è al potere) è quasi sempre con? Qui, Rovere ha una grande intuizione (cartesiana): il potere esprime sempre una forma di schiavitù e di mediocrità, anche in coloro che lo rappresentano ai vertici. Dunque, chi meglio di un con (o del «Bandito» di Cipolla) può rappresentare istanze di mediocrità intellettuale e morale? Questa storia filosofica della connerie si sviluppa, sempre cartesianamente, nell’indagine sensibile del fenomeno, sfiorando solo accidentalmente questioni etiche e (soprattutto) estetiche. Il cuore del trattato, che lo rende piuttosto una Storia sociale della stupidità, non è la definizione della stupidità, ma l’osservazione del suo manifestarsi nella giornata di chiunque. Prima si osserva il fenomeno (come riconoscerli e come affrontarli), poi la sua teleologia: perché amano distruggere, perché governano, perché vincono, perché si moltiplicano? Il grande merito di questo agile essai è quello di cogliere e suggerire al lettore (compreso lo stupido, a cui anzi è dedicato) l’urgenza di circoscrivere con grande chiarezza e semplicità un fenomeno che è alla radice di molti e fondamentali mali del vivere contemporaneo. Per prima cosa, il con invade la vita morale, politica e sociale; è anzi il motore della storia, invadendola con la propria cieca ostinazione, nutrendola con l’equivoco costante di scelte scellerate, guardando al proprio ombelico senza mai aver coscienza di fare del male in nome di qualcosa. La stupidità, assenza di bene, è il fenomeno umano più pericoloso, perché non ha nemici. 
Il grande filosofo del Dasein Martin Heidegger diceva che «più in alto della realtà sta la possibilità», per suggerirci che la stupidità risiede soprattutto nelle certezze, anche quella di definire stupidi gli altri. Così, alla fine, Rovere prende coscienza di un fatto ineludibile, che peraltro è il manifesto del trattato: proviamo a conoscere gli stupidi non tanto per evitare di diventare noi stessi dei cons, ma per cessare di esserlo.