il Giornale, 14 aprile 2019
Sempre meno cattolici
Nelle statistiche del Vaticano sui cattolici nel mondo, c’è un dato che salta agli occhi: mentre il numero globale dei battezzati è in crescita, l’unico continente in controtendenza è l’Europa. I dati dicono che nel 2017 anno cui fa riferimento l’ultimo annuario della Chiesa cattolica nel mondo c’erano 1 miliardo e 313 milioni di battezzati cattolici, pari al 17,7% della popolazione. La stessa dell’anno precedente, ma in una tendenza generale alla crescita: nel 2000 infatti la percentuale era del 17,3%. Soprattutto però a frenare l’espansione del cattolicesimo molto evidente in Asia e Africa – è l’Europa, il cui numero di battezzati è cresciuto di appena lo 0,1% in un anno, perfettamente in linea con l’aumento della popolazione. Ad impressionare però è la tendenza di più lungo periodo: se nel 2017 i cattolici europei rappresentavano il 21,8% del totale, solo 15 anni prima erano invece il 27,6%. E questo malgrado l’ingresso di immigrati da paesi cattolici, Sud America e Filippine.
La riduzione non riguarda solo la quantità ma anche la qualità: se la frequenza alla messa è in netto calo ovunque, anche se con importanti differenze da paese a paese, ad essere maggiormente significativo è l’atteggiamento dei giovani adulti, così come evidenziato da una ricerca pubblicata un anno fa dall’inglese Centro Benedetto XVI presso l’Università St. Mary di Twickenham. La ricerca, svolta su un campione di popolazione compresa tra i 16 e i 29 anni, ci dice che il cattolicesimo è destinato a incidere sempre meno in Europa. Due dati: in Spagna solo il 37% dei giovani si identifica come cattolico, ma di questi solo il 10% va a messa almeno una volta la settimana; in Francia il 23% si dichiarano cattolici, ma solo il 10% frequenta regolarmente la messa; perfino in Irlanda, il cui processo di secolarizzazione è più recente, è il 54% dei giovani a definirsi cattolico, con una presenza a messa appena del 24%.
Questo fenomeno ha delle ricadute sociali enormi, perché la fede cristiana, piaccia o meno, ha informato di sé la civiltà europea così come la conosciamo. Il progressivo allontanarsi dei popoli europei dal cristianesimo ha perciò conseguenze sociali e politiche altrettanto importanti, come ha ricordato nei giorni scorsi monsignor Giampaolo Crepaldi, presidente dell’Osservatorio cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa: oggi nello spazio dell’Unione Europa, ha denunciato Crepaldi, è stata imposta una religione civile, l’ideologia europeista, in aperta contrapposizione ai princìpi di diritto naturale che per secoli hanno plasmato le società europee. «Solo il fatto che l’Unione Europea sia il principale finanziatore dell’aborto nel mondo la dice lunga a questo proposito», ha detto intervenendo a Milano alla Giornata della Dottrina sociale della Chiesa, organizzata da La Nuova Bussola Quotidiana.
Anche se la questione non verrà affrontata direttamente in campagna elettorale è evidente che i temi delle ormai prossime elezioni per il Parlamento europeo hanno molto a che fare con questo processo di secolarizzazione. Il malessere crescente nei confronti di Bruxelles, la ribellione di ampie fasce di popolazione e di interi paesi ai diktat dell’Unione Europea sono conseguenza di una architettura istituzionale e di una direzione politica che si è allontanata di molto dalle intenzioni delle origini. I cattolici Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, che diedero il via al processo di integrazione europea all’inizio degli anni ’50 dello scorso secolo, avevano in mente una «comunità di comunità», secondo l’immagine coniata dallo storico Christopher Dawson. Era un’altra Europa; infatti dagli anni ’80, nel processo che ha poi portato ai trattati fondanti l’Unione Europea, da Maastricht in poi, ha invece prevalso la concezione legata al Manifesto di Ventotene, il documento del 1941 scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel periodo del confino nell’isola. Ovvero, l’idea di un super stato europeo che impone una nuova visione della persona e della vita sociale avulsa dalle tradizioni nazionali dei singoli popoli, giudicate la causa dei conflitti che hanno devastato l’Europa nella prima metà del XX secolo. Fatta l’Europa, si vogliono fare gli europei, si potrebbe dire ricordando il precedente storico dell’Italia.
Si capisce allora meglio che la grande battaglia che si è svolta negli anni ’90 intorno al riconoscimento o meno delle radici cristiane nella «Costituzione» europea non aveva a che fare con presunti privilegi da accordare a una religione, quanto con la strada che avrebbe dovuto prendere il processo di integrazione europea. E oggi i cosiddetti sovranismi seppure con caratteristiche anche molto diverse da paese a paese hanno molto a che fare con la ribellione dei popoli europei alle loro élite che vogliono imporre l’ideologia europeista. Una spaccatura si ripropone anche nella Chiesa cattolica: è infatti sorprendente che le gerarchie ecclesiastiche europee chiedano in grande maggioranza «più Europa». E infatti, guardiamo solo all’Italia, il popolo cattolico tende a votare in modo diametralmente opposto ai suoi pastori che flirtano con la sinistra europeista.
Ma anche questo fenomeno è un segno di quel processo di scristianizzazione che sta interessando anche la Chiesa dall’interno. Solo negli ultimi giorni, il nuovo libro del cardinale Robert Sarah con le relative interviste rilasciate in Francia e la quasi enciclica di Benedetto XVI hanno descritto con parole forti la crisi dell’Europa e della Chiesa. Ma hanno anche indicato una strada da seguire, il ritorno a Dio, per evitare un naufragio ormai prossimo.