la Repubblica, 14 aprile 2019
La flat tax nascosta
ROMA Altro che tassa piatta per tutti: quello che il governo sta producendo nel sistema fiscale italiano è una proliferazione di tante piccole “flat tax” che favoriscono solo alcuni redditi e alcune categorie di contribuenti. In altre parole, crescono come funghi le eccezioni al sistema Irpef: sempre più redditi escono dalla base imponibile della principale imposta nazionale e non vengono più tassati in modo progressivo – con aliquote tanto più alte quanto più elevato è il reddito – ma con una sola aliquota fissa, uguale per tutti i contribuenti di quella categoria. Attenzione, non è un fenomeno nuovo per il nostro Paese: è da anni ormai che la progressività del sistema fiscale, sancita dalla Costituzione, viene erosa con l’introduzione di “imposte sostitutive” come quelle sui redditi finanziari (oggi tra il 12,5 e il 26%), sulle case date in affitto (cedolare secca del 10 o del 21%), o sui redditi degli autonomi (forfait del 15%). Oppure con tassazioni separate e ridotte, come quella sul Tfr, sui redditi da eredità e sulle plusvalenze di fabbricati e terreni. In alcuni casi – soprattutto per i redditi da lavoro dipendente – questi sconti sono anche giustificati perché evitano di appesantire un carico già difficilmente sopportabile. Lo sono molto meno quando l’entrata principale è ad esempio una rendita finanziaria. Il problema è che con il nuovo governo, le deroghe alla progressività, invece di ridursi, stanno notevolmente aumentando. Spacciato per il primo round della flat tax, il forfait del 15% per le “persone fisiche che esercitano un’attività di impresa, arte e professione” dal gennaio 2019 è esteso a chi fa ricavi fino a 65 mila euro (e non più fino a 30 mila), e finisce così per includere il grosso delle partite Iva che in questo modo vengono tassate con un’aliquota ben più bassa di quella del primo scaglione Irpef, pari al 23%. Alla fine lo Stato non solo incassa meno Irpef, ma perde anche tutta l’Iva. Minor gettito, dunque, ma anche una nuova discriminazione tra autonomi e dipendenti: un professionista con compensi annui di 64 mila euro pagherà di imposte oltre diecimila euro in meno rispetto a un lavoratore dipendente con reddito analogo e due figli a carico. E non è tutto, perché nel 2020 – conti pubblici permettendo – verrà alzato un altro muro discriminatorio tra categorie, nascerà cioè «uno stranissimo ibrido – commentano i due economisti de lavoce. info Massimo Baldini e Leonzio Rizzo – da una parte un’imposta a base familiare e con aliquota unica al 15% e una sola deduzione, a patto che il reddito familiare non superi 50 mila euro; dall’altra l’attuale Irpef su base individuale progressiva con 5 scaglioni e le attuali deduzioni e detrazioni, se il reddito totale della famiglia è maggiore di 50 mila euro». Ma il gioco delle aliquote ridotte per alcuni e non per altri non riguarda solo il popolo delle partite Iva. Nel novero delle categorie di contribuenti favoriti rientra chi dà in affitto negozi: pagherà la cedolare secca del 21%. E rientrano i pensionati trasferitisi all’estero per pagare meno tasse: se torneranno in Italia e si stabiliranno nei piccoli Comuni del Sud, pagheranno appena il 7%. Mentre un tantino di più (15%) verseranno al fisco i docenti che impartiscono ripetizioni. Cento euro appena, infine, per chi svolge in modo occasionale la raccolta di “prodotti selvatici non legnosi": leggi funghi e tartufi. Il paradosso è che la nuova ondata di sconti arriva proprio mentre il governo dice di voler disboscare la giungla delle 636 agevolazioni fiscali, che oltre alle detrazioni e deduzioni, contempla proprio un folto numero di imposte forfettarie. Imposte che, come si diceva, hanno contribuito già a squilibrare il nostro sistema tributario. In che modo e in che misura? Ce lo dice uno studio che il ricercatore Stefano Boscolo pubblicherà nel secondo numero della rivista Economia pubblica-The Italian Journal of Public Economics. Tassare affitti, redditi finanziari e partite Iva con aliquote fisse e ridotte invece che con l’Irpef ci costringe a rinunciare – dice la ricerca – a circa 14 miliardi di gettito fiscale. Ma il dato più importante è la distribuzione del risparmio fiscale ottenuto con le aliquote ridotte: al 20% più povero dei contribuenti non va nulla; al 60% con redditi medi va circa il 30% del risparmio totale, mentre il 20% più ricco si prende la fetta più grossa: il 70%. La ricerca traccia anche un identikit del contribuente che dai forfait fiscali trae più vantaggi: è autonomo o libero professionista, single tra i 40 e 54 anni, laureato e residente nel Nord-Ovest. Insomma, impossibilitato per evidenti ragioni di bilancio ad introdurre la tassa piatta universale, che costa non meno di 60 miliardi, il governo ha scelto una strada completamente diversa: quella di tante flat tax corporative e meno costose, che accelerano inevitabilmente la frammentazione e la complicazione del nostro sistema tributario. Compresa l’aliquota che si appresta a introdurre la prossima legge di Bilancio: il 15% per chi ha un reddito familiare entro i 50 mila euro. «Guardate che non è una flat tax – spiega Raffaello Lupi, ordinario di Diritto tributario all’Università Tor Vergata di Roma – è un’altra sostitutiva; dopo quelle sui redditi finanziari, sulle locazioni immobiliari, sui piccoli commercianti e artigiani, ora pure quella sui redditi bassi. La flat tax è un’aliquota unica sul reddito complessivo, questo invece è l’arcipelago delle imposte sostitutive».