la Repubblica, 14 aprile 2019
La mafia del Gargano
FOGGIA Ricordatevi il nome del maresciallo Vincenzo Di Gennaro. Perché, presto, lo dimenticherete. In questa terra maledetta sono trent’anni che si dimenticano eroi e malandrini, innocenti e colpevoli, buoni e cattivi. Chi sa chi erano, per esempio, Aurelio e Luigi Luciani? Erano due contadini, due persone per bene, trucidate il 9 agosto del 2017 a San Marco in Lamis, pochi chilometri da Cagnano Varano soltanto per essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. A pochi passi, cioè, da un’esecuzione mafiosa. Se fosse accaduto altrove la storia dei fratelli Luciani, morti innocenti di mafia, si parlerebbe ovunque. Nei cinema, nei teatri, in televisione. E invece: nessuno sa chi sono i Luciani. Perché nessuno sa cosa succede in questa provincia, la seconda più grande d’Italia, dove la mafia ha mangiato grazie all’indifferenza generale tutto quello che c’era da mangiare. Anche quello che non era mafia, per dire. Spiega il procuratore Ludovico Vaccaro, che in queste terre lavora ed è nato. «L’omicidio del carabiniere Di Gennaro non ha nulla a che vedere con la criminalità organizzata, è vero. Ma è figlio di una situazione generale di un territorio dove la criminalità è violenta e aggressiva come forse in nessun posto d’Italia. Dove il degrado culturale, economico e sociale permette che le cose accadano, ma nessuno attorno se ne accorga». Numeri, per esempio: nella provincia si contano più di un omicidio al mese, un incendio al giorno, un’estorsione ogni 48 ore. L’80 per cento degli omicidi è irrisolto, il 90 per cento dei morti di mafia ha la faccia sfigurata. Quando assaltano i portavalori, e i foggiani li assaltano in tutta Italia ed Europa, lo fanno con le ruspe e i bazooka. Bloccando pezzi intere di autostrade, alzando droni e smontando guard rail. Chiudono pezzi di spiagge per organizzare gli sbarchi delle tonnellate e tonnellate di marijuana che arrivano dall’Albania e che provvedono a smistare in tutto il paese. Le mafie non hanno una struttura piramidale, ma assomigliano a satelliti impazziti che si muovono attorno a un grande buco nero: a Foggia c’è la Società, sul Gargano ci sono i Montanari, poi c’è Manfredonia, Apricena, Cerignola, ogni luogo ha un suo gruppo, ogni posto ha i suoi morti e i suoi affari. A Monte Sant’Angelo l’amministrazione comunale è stata a lungo commissariata per mafia. Ora c’è un nuovo sindaco: qualche giorno fa gli hanno fatto trovare fuori dalla porta di casa un teschio umano. I cittadini, le associazioni, sono scesi in piazza. E il giorno successivo qualcuno ha incendiato il portone del Comune. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bari, quelli della procura di Foggia, sono bravissimi. Prima combattevano quasi in solitudine, con accanto gruppi di generosi poliziotti, carabinieri e finanzieri. Dopo la strage dell’agosto 2017, il quadruplice omicidio in cui morirono i fratelli Luciani insieme con il boss Mario Luciano Romito e il suo guardaspalle, lo Stato ha risposto con violenza. Sono arrivati la Dia, lo Sco, i Ros, l’Anticrimine, hanno creato i Cacciatori di Puglia per battere a tappeto la Foresta umbra, il luogo più impervio del Gargano dove per decenni hanno nascosto e nascondono uomini, droghe e munizioni. Il 21 marzo del 2018 don Luigi Ciotti portò in piazza proprio a Foggia 40mila persone. Disse: «Non dimenticate che l’omertà uccide la verità e la speranza. Dobbiamo contribuire tutti di più alla verità». Poche ore dopo a Vieste provarono a fare fuori il boss Marco Raduano. Il 21 marzo di quest’anno hanno ucciso a Mattinata, Francesco Pio Gentile. A Cerignola, a Manfredonia, a Mattinata sono insediate da qualche mese le commissioni prefettizie: stanno valutando lo scioglimento dei Comuni per infiltrazioni mafiose. I clan gestiscono il verde pubblico e i cimiteri, si occupano dei lidi, delle discoteche e delle residenze per anziani. A Foggia hanno imposto al vecchio allenatore della squadra di calcio chi fare scendere in campo, a Cerignola vendono olio, aceto e vino taroccato, nel Tavoliere hanno infiltrato le grandi aziende di trasformazione del pomodoro e i broker del grano. Hanno detto le vedove dei fratelli Luciani, Marianna e Arcangela, che sono rimaste sole con i loro cinque bambini, la più piccola non ha conosciuto nemmeno il padre. «In questa terra non sappiamo cosa significhi la parola mafia. Ma sappiamo cosa fa la mafia. La mafia ti uccide. Ti toglie tutto quello che hai. Almeno questo, non dovremmo mai dimenticarlo».