Avvenire, 13 aprile 2019
Tutti gli stadi demoliti del mondo
Ogni appassionato di calcio che si rispetti non può definirsi tale senza aver messo piede nello stadio San Siro. Ma chi ancora non ha compiuto il pellegrinaggio a Milano avrà ancora poco tempo a disposizione: per l’esattezza tre anni, quelli stimati da Milan e Inter per l’abbattimento della Scala del calcio. Abbattimento. Settimane dopo l’annuncio, fa ancora un certo effetto leggere questa parola associata allo stadio San Siro, che poi in realtà si chiama Giuseppe Meazza. Il dibattito è ancora caldo ed è ancora presto per una decisione, ma intanto il tabù è stato infranto. Nella mente dei tifosi, d’accordo o no con l’idea della demolizione, incomincia a prendere forma un futuro prossimo senza «l’astronave atterrata nella periferia milanese» (copyright The Times).
Ora, al netto delle proprie convinzioni sull’opportunità o meno di demolire l’arena per eccellenza del calcio italiano e forse europeo, una cosa va detta: è già successo. È già successo che stadi considerati (più o meno) templi inviolabili dai tifosi siano stati buttati giù per fare spazio a nuovi impianti, parcheggi, condomini o centri commerciali. Senza la pretesa di elencarli tutti, ecco una carrellata possibilmente ragionata degli stadi che furono, e di qualche storia legata ad essi. Un viaggio che parte da Roma e ha a che fare proprio con Giuseppe Meazza, protagonista della prima Coppa del Mondo vinta dall’Italia nel 1934. Pur non segnando, il
Peppin calcò l’erba dell’allora Stadio Nazionale del Partito Fascista nella finale contro la Cecoslovacchia, impianto abbattuto nel 1953 per fare spazio allo Stadio Flaminio. E non esiste più neanche lo stadio Pocitos di Montevideo, in cui il 13 luglio 1930 venne segnato il primo gol della storia dei mondiali di calcio, firmato dal francese Laurent contro il Messico. Oggi al posto della vecchia casa del Peñarol – demolita nel 1940 – ci sono abitazioni e negozi e un piccolo monumento ricorda l’inizio della storia dei mondiali all’incrocio tra Coronel Alegre e calle Charrúa, esattamente dove si trovava il dischetto del centrocampo.
Ma la stessa sorte è toccata anche ad altri stadi che hanno ospitato finali dei mondiali. Come il Wankdorfstadion, teatro nel 1954 della rimonta della Germania Ovest sull’Ungheria di Puskás – il controverso “Miracolo di Berna” – demolito nel 2001 per fare spazio allo Stade de Suisse. O come lo stadio Rasunda di Stoccolma, che ospitò Brasile-Svezia 5-2, finale del torneo del 1958 in cui il mondo scoprì un certo Pelé. Abbattuto nel 2013, l’impianto è stato rimpiazzato da uffici ed edifici residenziali. O ancora, ovviamente, il Maracanà di Rio de Janeiro, passato dai 200mila posti del mondiale 1950 ai 78mila del 2014 dopo la completa ristrutturazione.
Senza abbandonare il tema mondiali, l’argomento storico più spendibile dai pro-abbattimento di San Siro arriva da Londra e precisamente dall’Empire Stadium, meglio noto come Wembley. Allo stadio dalle due inconfondibili torri non è bastato un curriculum impreziosito da 5 finali di Coppa dei Campioni (una vinta dal Milan nel 1962 contro il Benfica di Eusebio), una finale dei mondiali e svariati eventi iconici come il Live Aid per resistere alle ruspe: nel 2003 lo stadio espugnato dall’Italia con gol di Capello è stato raso al suolo per permettere la costruzione del nuovo Wembley. Lo stadio londinese ha ospitato la finale del 1966 – quella del “gol fantasma” di GeoffreyHurst – un mondiale poco fortunato per l’Italia. Tuttavia, le tracce di quella figuraccia contro i “ridolini” nordcoreani (copyright di Valcareggi, assistente dell’allora ct Fabbri) sono state cancellate con l’abbattimento dell’Ayresome Park di Middlesbrough. Ed è sparito anche il Roker Park di Sunderland, in cui l’Italia colse l’unica vittoria contro il Cile salvo poi perdere la gara decisiva contro l’Unione Sovietica. Entrambi gli impianti sono stati demoliti dai rispettivi club, decisi a regalare ai propri tifosi stadi più accoglienti e moderni: un esempio seguito da molte altre squadre inglesi.
Ultima in ordine di tempo il Tottenham, che il 3 aprile ha giocato la prima gara nell’avveniristico Tottenham Hotspur Stadium, costruito in buona parte sul sito dello storico White Hart Lane, datato 1899. Ospitati nel frattempo proprio a Wembley, gli Spurs hanno seguito i rivali storici dell’Arsenal, che nel 2006 hanno abbandonato Highbury per il ben più moderno e redditizio Emirates Stadium. Laddove Thierry Henry si lanciava ginocchia sull’erba per festeggiare i gol degli “Invincibili”, oggi sorge un complesso di appartamenti di lusso che conserva ancora pezzi dello stadio celebrato da Nick Hornby in
Febbre a 90°. Sempre in Inghilterra Manchester City, Milwall, Southampton e West Ham sono entrati nel terzo millennio salutando i vecchi impianti, nell’ordine: Maine Road, The Den, The Dell e il mitico Boleyn Ground, dove risuonava l’inno degli Hammers
I’m forever blowing bubbles.
Se in Inghilterra lo spazio lasciato dai vecchi impianti, come negli ultimi cinque casi appena elencati, è stato riempito da costosi appartamenti, in Italia la tendenza è quella di sostituire i pochi impianti abbattuti con altri stadi o parchi. È il caso della Juventus, ovviamente, che ha buttato giù il poco amato Delle Alpi nel 2009 per costruire il pluridecorato Juventus Stadium (oggi Allianz Stadium). O del meno noto stadio Moretti di Udine, sostituito da un parco, che però può vantare una comparsata nel film L’allenatore nel pallone con Oronzo Canà che spia Zico in allenamento.
In Italia la costruzione dei nuovi stadi di proprietà procede lentamente, ma in Spagna le cose sembrano muoversi più in fretta. E a farne le spese sono stati veri e propri templi apparentemente inviolabili per tifoserie come quelle dell’Atletico Madrid e dell’Athletic Bilbao, che hanno detto addio rispettivamente al Vicente Calderon e al San Mames, noto come “la Catedral”, abbattuto nel 2013 dopo aver compiuto cento anni. Non esiste più neanche lo Stadio Sarrià di Barcellona, quello in cui Paolo Rossi divenne Pablito con una tripletta al Brasile nel 1982. Demolito nel 1997, ha lasciato spazio a un parco pubblico, sorte che lo accomuna al Camp de Les Corts, la casa dell’FC Barcellona prima del trasferimento al Camp Nou nel 1957.
Spostandosi in Germania, va ricordata la storia del Parkstadion dello Schalke04 di Gelsenkirchen, l’impianto che prima di concedersi ai bulldozer rischiò di chiudere la sua storia con un clamoroso scudetto sfumato all’ultimo minuto nel 2001. O ancora a Lisbona, in Portogallo, dove sia Benfica che Sporting hanno salutato i vecchi stadi nel 2003. Senza dimenticare le demolizioni dello stadio De Meer di Amsterdam (1998) e del caldissimo Ali Sami Yen del Galatasaray a Istanbul (2011). Oltreoceano, invece, è stato il Palmeiras di San Paolo a dire addio all’Estadio Palestra Italia, sostituito dall’Allianz Parque, mentre in Argentina nel 1983 i tifosi del San Lorenzo salutarono “el viejo” Gasometro: al suo posto venne costruito un supermercato.