Avvenire, 13 aprile 2019
Piccoli pugili mandati a morire sul ring
Li chiamano i “gladiatori in erba”. Bambini, anche piccoli e piccolissimi, che la povertà spinge verso la boxe thailandese, la
Muay Thai. Uno sport antico, travolto da immensi interessi che vanno dalle scommesse (legali e clandestine) all’organizzazione delle competizioni, estese da qualche anno anche a partecipanti stranieri, al miraggio di un benessere per pochi. I piccoli combattenti sono reclutati nei villaggi rurali, deturpati dalla miseria, già dai cinque o sei anni d’età. Dopo l’allenamento, vengono spediti sul ring dai dieci o dodici anni al massimo. A volte anche a otto.
Il loro compito è esibirsi di fronte a un pubblico che hai nei loro confronti un interesse quasi morboso. Resta ben poco dell’antica pratica, ammantata di ritualità e segreti tramandati da kru(maestro) a allievo, cruda ma con una sua mistica definita e regole morali precise. Gli incidenti, lo sfruttamento, la morte di alcuni piccoli non sono sufficienti a contenere la sete di denaro di organizzatori, mediatori e allenatori. Anzi, è stata anche aperta la competizione tra scuole per portare sul quadrato nuove leve sempre più giovani. Nemmeno il decesso per emorragia cerebrale sul ring, alla fine dello scorso anno, del 13enne Anucha Tasako è riuscita a bloccare una tendenza che sembra inarrestabile. Al contrario, la popolarità sia in vita, sia postuma di Anucha, che aveva già alle spalle cinque anni di combattimenti, sembra avere dato nuovo slancio alla pratica dei baby-gladiatori. Sull’ondadell’impatto emotivo provocato dall’evento, il governo si è impegnato a correre ai ripari (si fa per dire), proponendo di utilizzare atleti con età superiore ai 12 anni e rendere obbligatorie protezioni per chi abbia tra i 12 e i 15 anni. Le misure, tuttavia, hanno avuto scarso risultato pratico. I medici chiedono da tempo che l’età minima per partecipare agli incontri sia alzata a 18 anni. Al contrario, la potente l’Associazione della boxe professionale thailandese preme perché sia abbassata a dieci. La contesa va avanti da tempo, mentre gli attivisti per i diritti umani denunciano una serie di abusi a cui sono sottoposti i babycombattenti. Le statistiche non sono ovviamente ufficiali, anche per non contrastare la potente lobby pro-boxe, tuttavia, sarebbero circa 10mila gli atleti sotto i 15 anni registrati dall’Autorità sportivathailandese. Si stimano, tuttavia, in 200-300mila i bambini coinvolti in una qualche forma di competizione, in alcuni casi addirittura reclutati a 4-5 anni. Una situazione drammatica e nonsolo per un abbandono sovente precoce delle aule scolastiche dei giovani atleti. In una ricerca specifica, il centro traumatologico specializzato in diagnostica avanzata dell’ospedale Ramathibodi di Bangkok ha evidenziato gravi danni in centinaia di giovani atleti. Paragonati ai coetanei non coinvolti nelMuay Thai, i piccoli gladiatori hanno un media un quoziente intellettivo inferiore in media di 10 punti alla norma. Un danno, crescente con una pratica prolungata, a cui si aggiungono le conseguenze fisiche, sovente irreversibili, fino al decesso nei casi più gravi. Tuttavia, negli anni vi sono state solo raccomandazioni all’uso di protezioni e le stesse autorità sanitarie hanno semplicemente invitato preparatori e atleti tra i 13 e i 15 anni a comportamenti che «prevengano danni cerebrali, non propizino anomalie del cervello, il Parkinson e un Alzhaimer precoce da adulti». In buona sostanza, a combattere cercando di evitare colpi decisivi che sul ring possono segnare la differenza tra vittoria e sconfitta. Esiste poi un altro aspetto, quello dello sfruttamento. È difficile che bambini sotto i 15 anni scelgano liberamente di rischiare la vita in cambio di proventi di cui beneficeranno quasi esclusivamente familiari e maestri. È certo l’immenso giro d’affari che ruota attorno al loro impegno e sacrificio. Un campione arriva a guadagnare migliaia di euro per una finale me ben poco gli resta in mano. Lo stesso accade con i premi, ricavi pubblicitari, i diritti radio e televisivi. A beneficiarsi sono le reti di reclutamento, gli sponsor e gli scommettitori: l’azzardo vale molti milioni di euro. Per tanti, soprattutto per i più giovani, lo sfruttamento, la coercizione, sono realtà quotidiana. Non a caso, i dati usciti dal rapporto sulle peggiori forme di lavoro minorile pubblicato dal Dipartimento di Stato americano cinque anni fa, all’inizio quindi del boom attuale di bambini (e bambine) combattenti, indicava che «è noto come i combattenti retribuiti di
Muay Thai siano sfruttati in quanto lavoratori minorenni e che la questione suscita una grave preoccupazione».