Libero, 13 aprile 2019
Irene Pivetti torna in politica
Quando il 15 aprile 1994 Irene Pivetti, a trentuno anni appena compiuti, una laurea in lettere moderne e tre righe di curriculum politico, venne eletta presidente della Camera, tutti si chiesero che cosa c’entrasse quella giovane donna accigliata con il terzo scranno della Repubblica. Al quarto scrutinio incassò 347 voti favorevoli su 617 e divenne la più giovane presidente nella storia del Paese. Al Senato fu eletto Carlo Scognamiglio: pure lui segnò il record del più giovane presidente di Palazzo Madama, a 49 anni, ma con spalle, almeno in partenza, molto più larghe della Pivetti. Figlio di una famiglia di industriali, professore alla Bocconi e poi rettore della Luiss, aveva frequentato anche commissioni ministeriali. Ai ministeri si installò la créme del berlusconismo alla sua prima ora, quello nato “nel segno del cambiamento” sulle rovine della Prima Repubblica. C’erano Antonio Martino agli Esteri, Alfredo Biondi alla Giustizia, Giulio Tremonti alle Finanze, Lamberto Dini al Tesoro, Giuliano Urbani agli Affari regionali. A confronto con il governo di adesso, che ritiene i competenti pericolosi, compromessi e portatori non tanto sani di un virus antipopolare, è come paragonare un adulto a un poppante.
I PREDECESSORI
Il nome di Irene Pivetti, nella lista dei presidenti della Camera, salta all’occhio come una suora nella neve: prima di lei, Nilde Jotti, Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano (due futuri presidenti della Repubblica); dopo, Luciano Violante. La sua elezione è la fotografia di un’epoca: la Lega avrebbe visto di buon occhio Francesco Speroni, ma Berlusconi disse di no: «Non possiamo mica eleggere uno che va in giro con quelle giacche tutte colorate». Poi si pensò a Roberto Maroni, che però preferì fare politica e virò verso gli Interni. Fu allora che a Bossi venne l’idea: prendiamo una donna, una giovane, facciamo la rivoluzione, candidiamo l’Irene. E così la chiamò: «Te fai la presidente della Camera». «Ero in macchina», raccontò poi la Pivetti, «per poco non andavo a sbattere». Lei, che era stata responsabile della Consulta cattolica della Lega Lombarda ed eletta per la prima volta alla Camera nelle liste della Lega Nord nel 1992, si ritrovò lassù come tirata da una fionda. A Indro Montanelli piacque, commentò: «Di tutti gli uomini nuovi, il più nuovo e il più uomo è lei». In realtà la Pivetti, prima donna con un peso nella Seconda Repubblica, mandò tutti fuori di testa, e affatto come uomo: vestiva dei tailleur con le spallone, nell’armadio non aveva niente di attillato spinto, la camicia era sempre accollata e chiusa fino all’ultimo bottone, i foulard con cui copriva il resto del visibile sembravano rubati alla nonna. Nessuno spazio lasciato alle curve, quindi praterie sterminate su cui far correre l’immaginazione, una caccia al tesoro alla ricerca di un centimetro di pelle scoperta: l’estremo della castità coincide con l’estremo dell’erotismo. Solo Vittorio Sgarbi, un buongustaio dell’estetica femminile, ebbe l’ardire di spegnere gli ardori: «In realtà la Pivetti è proprio brutta: è una gengivona, una dentona, ha le gambe corte e il sedere basso. Non mi ha mai dato l’idea di una donna». L’addestramento di Irene Pivetti a fronteggiare, anzi gestire ogni ambiguità, lo si può leggere in alcune righe di un vecchio articolo di Claudio Sabelli Fioretti: una compagna di banco delle medie raccontò che i genitori della Pivetti avessero il vezzo, d’estate, di sedersi nella veranda di casa con le due figlie, bellamente ignudi, a sorseggiare il tè. «Per abituarle a non vergognarsi del proprio corpo», ricorda la compagna di classe. Ecco, si vede che la lezione è stata capita in due modi diversi dalle due sorelle, o forse è servita loro a maneggiare le ambivalenze della vita: Veronica, infatti, diventò un’attrice, ottima caratterista appassionata di trucco pesante, ma con punti di somiglianza fisica con la vestale Irene sufficienti a lasciar intendere che la parola “Pivetti” può voler dire una cosa e anche il suo contrario. Ancora oggi gira su Youtube un video della giovane politica durante il quale zittisce, più da donna pericolosamente irritata che non da autorità istituzionale, il suo leader Umberto Bossi: «Il suo tempo è proprio scaduto», la si sente dire, con una voce da velluto in contropelo, «sono costretta a toglierle la parola, come d’accordo con la conferenza dei capigruppo: ovvero, che il tempo sarebbe stato rispettato, mi dispiace». «Va bene», risponde Bossi, «la ringrazio presidente», sulle prime quasi compiaciuto, come fosse stato un test. Poi gli scappa un gestaccio, mentre i compagni di partito ringhiano in coro muto una nota che suona come “ma chi ti credi di essere”.
MILLE VITE
La Pivetti ha cambiato così tanti personaggi e look nel corso della vita, che solo lei deve saper bene chi è: ha avuto i capelli ricci e di lunghezza media, poi cortissimi, falciati dalla macchinetta, poi a caschetto e a un certo momento perfino rossi. Dopo la legislatura alla presidenza della Camera dei Deputati, si diede a esperienze più “pivettuole”, in giro per le tv, e si affidò alla scuderia di Lele Mora, passando da “Bisturi”, che conduceva insieme con il travestito Platinette (il quale dichiarò: «Girerei un porno con Irene Pivetti»), fino a “Domenica In”, e collaborò con varie testate. Nel febbraio del 2007 finì sulla copertina di Gente, infilata in una tutina da Catwoman con un frustino in mano, l’incarnazione di come tanti l’avevano nei loro sogni ai tempi dei colletti a uncinetto sprangati da tutti i bottoni: della cattolica tradizionalista che ostentava la spilla del Sacro Cuore della Vandea sormontato dalla Croce (in memoria dei massacri compiuti dalle truppe francesi repubblicane sulla Vandea insorta: fecero 170mila morti), non c’era più traccia. Iva Zanicchi le tagliò i panni: «È mostruoso quello che le è successo. La Pivetti di oggi, tutta cuoio e borchie, pelata e con le tette di fuori, sembra la figlia di quella della Camera con foularino e tailleurino». Ora, dopo aver dato il via alla sua terza vita diventando imprenditrice – ha fondato una piattaforma commerciale che supporta le piccole e medie imprese italiane nell’esportazione, soprattutto in Cina – l’anno scorso è tornata alla prima: ha fondato il partito europeista Italia Madre. Già scalpitava per le politiche dell’anno scorso, ora è pronta a candidarsi alle Europee del 26 maggio: in una delle circoscrizioni del Nord, in Forza Italia dietro al Cavaliere, di nuovo vergine.