Libero, 13 aprile 2019
La lotta alla povertà massacra il lavoro
Più di 8 italiani su 10 non sono poveri. Eppure la liturgia mediatica e politica è concentrata sulla minoranza – gli indigenti – che ovviamente merita non solo rispetto, ma anche aiuti. Tuttavia focalizzare manovre finanziarie e dibattiti televisivi su chi tira indietro, senza pensare a chi invece spinge l’economia, è quanto meno folle. Il governo, in particolare l’area cinquestelle, ci ha scassato l’anima per avere il reddito di cittadinanza. Un’idea da approfondire in una società perfetta, peccato non esista il mondo ideale. Così l’esecutivo ha preferito accrescere il debito pubblico pur di staccare assegni a persone che non sembrano avere molta intenzione di lavorare. Dall’altra parte, lo stesso esecutivo preferisce appesantire ulteriormente i redditi con le tasse (ad esempio sbloccando l’incremento delle addizionali Irpef locali). Poi non possiamo lamentarci se il Pil italico, ormai da una quindicina d’anni, è fra i peggiori d’Europa. Ovvio: se affami i buoi, il carro non può andare avanti spedito. Quasi metà dei guadagni, frutto dei sacrifici dei lavoratori, finisce in balzelli e contributi. A loro volta i balzelli servono per ingrassare una spesa pubblica inefficiente, basti pensare che se lo Stato si comportasse come la Lombardia risparmierebbe 70 miliardi l’anno. Che poi, ricordiamolo, appena 20 milioni di italiani contribuiscono, attraverso le proprie imposte versate, al sostentamento della macchina pubblica. Gli altri 40 milioni di abitanti o evadono, oppure sborsano poco niente al fisco. Quaranta milioni equivalgono al 66% dei residenti, giusto? E come mai i poveri (assoluti e relativi) rappresentano – dice Istat – appena il 20% della popolazione? Qualcuno sta fregando il prossimo e l’Erario. Però non si scandalizza mai nessuno per questo. E non serve essere economisti per comprenderlo. Basta aver frequentato le elementari e ricordare qualche nozione base di aritmetica... No, si preferisce mungere sempre di più chi già paga tasse allo scopo di trasferire quattrini a coloro i quali non producono. Ma votano. Quindi contano ai fini elettorali.
MANCANO QUELLI BUONI
E dire che l’economia italiana è forte. Potrebbe esserlo ancora di più, se solo Di Maio non si fosse intestardito nel voler «abolire la povertà». Sette miliardi sono stati destinati a finanziare il sussidio. Nonostante il governo medesimo abbia scritto, nero su bianco nell’ultimo Documento di economia e finanza, che la misura produrrà benefici pari allo 0,1-0,2 per cento del Pil. Cioè 3-4 miliardi. È dunque un’operazione in perdita. Per lo Stato e per la collettività. Vogliamo poi parlare della proposta del neo presidente dell’Inps, il grillino Tridico? Ha sostenuto che converrebbe lavorare tutti meno ore, in modo da liberare spazio per nuovi occupati. A parte che questa teoria, vecchia di vent’anni, è miseramente fallita in Germania e in Francia, andrebbe ricordato che il problema italiano non è lavorare tanto. Bensì lavorare male. La produttività è agli ultimi posti nelle classifiche europee. Ciò nonostante le nostre aziende hanno sempre fame di occupati. Cercano professionalità, che però in molti casi non si trovano. Un’offerta di impiego su tre va deserta. E gli esperti sostengono che la forbice domanda-offerta si allargherà nei prossimi anni. Giustamente il ministro italiano dell’Economia, Giovanni Tria, parlando ieri a margine dei lavori primaverili del Fondo monetario internazionale, ha puntualizzato che «l’Italia non è un rischio globale». Spiegando poi di non aver avuto bisogno, durante i colloqui con i ministri internazionali, «di dare nessuna rassicurazione. Questi discorsi sul rischio Italia non li ho mai sentiti durante le riunioni». Certo, il nostro Paese ha «avuto un rallentamento dell’economia quest’anno nella stessa misura della Germania. C’è un importante rallentamento anche in tutta Europa e di conseguenza Italia e Germania rappresentano una buona parte del Pil europeo».
SI SPENDE ANCORA
In effetti non siamo di fronte all’apocalisse. Le famiglie, per il quarto anno di fila, hanno continuato a spendere. L’Istat parla di 2.500 euro al mese. Tanto. Dopo 4 anni invece è tornata a crescere la propensione al risparmio (8,1%) e pure il potere d’acquisto (+0,9%). La produzione industriale a gennaio e febbraio è risalita di oltre due punti... C’è una resistenza, che non è quella declamata il 25 aprile, degli italiani che è da incorniciare. Poiché quei 20 milioni di sgobboni subiscono tasse furibonde e servizi scadenti (dalla burocrazia alla giustizia). Comunque si alzano ogni mattina e fino a sera non mollano. Queste persone meriterebbero un premio. Tipo un taglio delle tasse. Forte, deciso, netto. Però per loro non ci sono mai le risorse. I quattrini ci sono solo per chi beffa lo Stato, fingendosi povero o falso invalido. Non è un caso che si siano alzate le barricate sull’autonomia: la responsabilizzazione è un guaio se si vuole continuare a sguazzare nello spreco. Stessa cosa sta accadendo sul tema “flat tax”. Sembra che si abbia paura di diminuire le tasse a chi già ne versa un mare. La cosa peggiore è che pure il Fondo monetario è contro la riforma fiscale. Prima o poi qualcuno s’incazzerà.