Il Sole 24 Ore, 13 aprile 2019
I 79 miliardi sepolti in Bankitalia
Quanto è “ricco” il Tesoro italiano? Qual è il saldo del deposito di Tesoreria dello Stato presso la Banca d’Italia? La bagarre sulla proprietà delle riserve auree dell’eurosistema ha distratto l’attenzione da questioni di finanza pubblica forse meno sexy, ma certamente più immediate e significative per i contribuenti e la pubblica amministrazione. Come per esempio la reale disponibilità di denaro in contanti sul conto “bancario” del ministero delle Finanze: perchè per la prima volta dal 1984, anno in cui fu istituita la Tesoreria Unica presso la Banca d’Italia, il deposito della liquidità dello Stato (Mef e tesorerie degli enti locali) ha raggiunto la cifra record di 79 miliardi di euro nel mese di gennaio, una cifra pari a 7 manovre finanziarie come quella varata l’anno scorso. Ma questo è niente.
Nell’ultimo bilancio d’esercizio della Banca d’Italia, gestore unico non solo dell’oro di Stato ma anche della liquidità pubblica, c’è una piccola tabella con le passività della banca centrale nei confronti del governo e degli enti locali: si scopre che già a fine 2018, come riportato a pagina 54 del bilancio, il conto del Tesoro per il servizio di tesoreria era balzato a 42,2 miliardi di euro, il 250% in più sul valore di fine 2017, pari a 12 miliardi di euro. Un salto esponenziale che ha colpito persino Via Nazionale: «Rispetto al 2017 – scrive la stessa Banca d’Italia – è aumentato sia il saldo di fine anno del conto di Tesoreria che il saldo medio annuo, salito a 27,1 miliardi dai precedenti 17,9 miliardi». Un vero tesoro nascosto. E soprattutto misterioso: che cosa abbia spinto il nuovo governo a bloccare tanti miliardi sul Conto di Tesoreria è quasi un mistero: «Il governo si è impegnato a ridurre drasticamente nei prossimi mesi sia la crescita della liquidità sul conto sia il saldo positivo di fine anno», è la risposta standard che arriva dal Mef.
Insomma, almeno all’apparenza, il Tesoro non è mai stato tanto “ricco”, anche se di soldi non suoi: il deposito presso Bankitalia è, sì, intestato al governo, ma il conto raccoglie in realtà tutte le risorse di tesoreria delle amministrazioni pubbliche italiane. Se il conto cresce, vuol dire che il Tesoro ha bloccato i pagamenti agli enti locali e alle imprese creditrici della pubblica amministrazione.
Ma il pezzo forte di questa storia è un altro: più sale il deposito, più lo Stato paga in interessi sulla somma depositata. Il conto di Tesoreria unica è remunerato infatti con un meccanismo molto complesso e ormai da anni con un tasso di interesse negativo pari a -0,4%, un livello che è persino più oneroso del tasso di riferimento Eonia (-0,36%). L’anno scorso, per esempio, i 42 miliardi iscritti al passivo della Banca d’Italia sono costati di interessi pagati all’eurosistema – secondo un calcolo attendibile – oltre 170 milioni di euro. Chiaro il concetto? Invece di ridurre i depositi di Tesoreria pagando tempestivamente il dovuto a enti locali e imprese, il governo aumenta i “fondi dormienti” e preferisce pagare centinaia di milioni per farsi gestire depositi infruttiferi. La Bce, tra l’altro, in vista del nuovo intervento straordinario di sostegno alle banche previsto per settembre ha appena modificato il regime di calcolo della remunerazione dei depositi governativi presso le banche centrali in modo ancora più penalizzante di quello attuale: la discesa dei tassi di mercato Eonia per effetto della nuova liquidità Tltro farà infatti allargare ulteriormente lo spread tra questi e il tasso di remunerazione dei depositi fissato dalla Bce: sembra incredibile, ma anche perdendo denaro per i tassi negativi, se non si paga il conto più alto si rischia l’accusa di aiuti di Stato.