Il Sole 24 Ore, 13 aprile 2019
Il nuovo ponte di Genova è già in ritardo?
Teoricamente, manca un anno alla riapertura al traffico del tratto iniziale dell’autostrada Genova-Savona: il termine di aprile 2020 per l’apertura al traffico del futuro viadotto Polcevera, indicato a dicembre all’apertura dei cantieri per la demolizione di quanto resta del Ponte Morandi, per ora è confermato dal commissario alla ricostruzione, il sindaco Marco Bucci. Ma lo sviluppo degli eventi rende lecito più di un dubbio. Soprattutto sulla demolizione: si va dall’incognita-amianto nelle parti da abbattere a quella sui tempi delle perizie. E nemmeno la ricostruzione potrebbe non essere la più veloce possibile (si veda l’articolo a destra).
La realtà si spacca tra le dichiarazioni ufficiali, tutte improntate a garantire il rispetto dei tempi, e le perplessità di molti tecnici, a microfoni spenti. Qualche dubbio ora pare averlo anche il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, che ieri sera ha promesso: «Non accetterò mai un solo minuto di ritardo».
Sulla scoperta di amianto, seppure naturale e sotto i livelli di allarme, nel cemento del Morandi, Bucci non si scompone. I ritardi, dice, «li abbiamo già recuperati e comunque stiamo lavorando per recuperarli tutti. Attualmente il progetto rispetta ancora la data del 15 aprile 2020 per l’inaugurazione. In seguito vedremo. Io do sempre la best option e al momento è ancora questa».
In effetti, restano aperti anche scenari meno favorevoli. Molto dipenderà dalle prossime mosse della Regione, la cui agenzia per la protezione ambientale (Arpal) sta operando.
Bucci ricorda poi il dissequestro, da parte della Procura, delle travi tampone del Morandi, cioè i tronconi di viadotto che sono stati calati a terra con gli strand jacks, «che ora possiamo tagliare e portare via». Un passo avanti, che va nella direzione di accelerare i lavori.
Il legame tra i tempi di demolizione e quelli di ricostruzione, peraltro, è evidente. Il cronoprogramma, fanno notare fonti tecniche, presenta stati di sovrapposizione tra le attività di demolizione e quelle di ricostruzione che consentono di assorbire anche imprevisti. Imprevisti come il ritrovamento di tracce di amianto che era anche stato prefigurato tra le eventualità inserite nel decreto numero 5/2018 del commissario, che lanciava l’appalto per la demolizione del viadotto.
È vero, quindi, che per una parte non trascurabile demolizione e costruzione possono procedere in parallelo e, in effetti, così sono state concepite sin dall’inizio. Ed è vero pure che la presenza dell’amianto era stata preventivata dalla struttura commissariale già nel suo primo decreto, per cui i calcoli sulla tempistica tengono già conto dell’eventualità di dover ricorrere a metodi più lenti rispetto all’uso di esplosivi. Ma lo smontaggio del moncone ovest è stato già rimandato più volte. E sono prevedibili problemi peggiori per quello est, il più impegnativo perché è quello con le pile strallate (10 e 11) e la presenza di case.
Le pile strallate sono un problema soprattutto perché potrebbero essere decisive nell’accertamento delle responsabilità del crollo. Una delle ipotesi principali su cui si muove la Procura è che i lavori di rinforzo eseguiti sulla pila 11 nel 1993 dovessero essere fatti già all’epoca sulla 9 (crollata il 14 agosto) e sulla 10. Si profila quindi una battaglia potenzialmente lunga tra i periti nominati dai 74 indagati, quando potranno salire a confrontare le due pile rimaste in piedi per capire se e quanto fosse a rischio anche la 10. A dicembre in ambienti giudiziari circolava la voce che le torri di sostegno necessarie a mettere in sicurezza la demolizione e far salire i periti sarebbero state pronte in aprile. Ora sembra che lo saranno solo a fine mese.
Se tutto questo farà ritardare la demolizione del moncone est, sarà più difficile costruire in tempo la parte più impegnativa del nuovo ponte, quella con più vincoli dati dall’ambiente circostante.