La Stampa, 13 aprile 2019
Le opere d’arte che rappresentano la pipì
Eravamo abituati ai frescanti, ai bamboccianti, persino ai benandanti, adesso dovremo tener conto anche di una rilevante categoria artistica, che è quella dei «piscianti». Oddio, chi frequenta capillarmente l’arte sa che è abbastanza frequente, soprattutto nella pittura fiamminga e non solo di Bosch o di Breughel (con uova-culivagine e mostruosi deretani urinanti) ma anche nei nostri Canaletto o Longhi, sa ch’è inevitabile scoprire, in certi angoli di vedute, lenticolari e minuziose, omini che si voltano verso il primo angolo disponibile, per lasciare il proprio dono urinario (proprio come i nostri giovincelli, da pub stradale, nelle loro annaffiate nottambularità alcoliche). Ma ci sono anche serafiche matrone bisognose, che si accucciano come chiocce e via, un piccolo micro-pozzetto ambrato, decora ora Piazza San Marco. Forse, quasi a dire che la vita continua, anche al di là dello scenario nobile, monumentale.
L’acqua scorre, non c’erano rubinetterie, allora, e che fosse polluta, via, non era poi un dramma: la vita prosegue, anche negli angoli bui. Qui, però, le faccende si fanno più serie, e si privilegia, soprattutto, ma non solo, la figura emblematica del putto infantile. Dello spiritello «mingente», che si rivela in effetti essere un topos ricorrente e rivelatore, della umida e fertile storia della pittura, e non soltanto di genere, questa la vera novità.
Il serissimo, ma non accademico e brillante Jean-Claude Lebensztejn, noto soprattutto per essere un attento revisore delle carte e delle lettere di Cézanne, ma anche autore d’un saggio dal titolo illuminante e barthesiano di Kafka, Sade, Lautréamont, Sogni strappati (cosicché si capiscono molte più cose) parte lancia in resta (anzi, mentula, direbbe lui stesso) per inseguire la migrazione (quasi warburghiana) di questo rilevante segno nomade.
Del puer più o meno sacer, che con allegra pudicizia innocente, alza la vestina, spesso anche scolpita, solleva con la mano destra o mancina (ed anche questo ha un senso) il suo piccolo membro sfacciato ed innocuo (che non conosce cioè ancora l’insulto teatrale ed imbarazzante della possibile erezione) e si diverte a mirare maliziosamente il mobile bersaglio. Che sia il pube (coperto di rose gentili, o spesso di spruzzi dorati, mai però torbidi) di Venere, se si tratta di Eros, in attesa dello sperma, più plateale e schermato, del battagliero Marte. Che sia un altro putto, che con feroce provocazione deve ricevere direttamente in bocca l’allegro insulto goliardico, ed allora è lui che si vendica, tirandogli i riccioli, assaltando i micro-testicoli, attentando al posteriore pienotto (e qui ci voleva un capitoletto apposito sul nostro Serpotta palermitano). O che finisca, infine, dentro una coppa predisposta, in festoni e fontane, a raccoglie il dono idraulico, in cui talvolta, felice, ci guazza dentro persino Narciso.
Perché è Freud a spiegare puntuale all’autore (che col divertente tema ha provocato tutti i paludati colleghi, a suggerirgli esempi e curiosità, ma le declinazioni ulteriori sarebbero ancora molte) che il bambino sessuato, eppur ancora innocente, inconsapevole, ha una particolare dedizione narcisistica alle sue deiezioni escrementizie, che lo rendono così testimonial di fertilità (sui deschi da parto rinascimentali) o protagonista di missionari lattazioni, quasi taumaturgiche. Sì: getto direttamente in bocca, e non per perversione scatologica, ma per sottolineare beneficio generoso agli assetati e talvolta persino una benedizione sacra, lustrale.
In tante acquasantiere toscane, per esempio, o persino nel pio Mantegna degli Olivetani, dove un «angelo pisciante» ripete e riecheggia in alto, tra i festoni squarcioneschi, il gesto liturgico del battesimo, officiato in basso. Una ripetizione, ma mai parodica. Perché spesso il gesto del puer, che solleva la sua mentula (il traduttore Rinaldo Censi deve destreggiarsi con l’arte dei sinonimi) pistolino talvolta dolcemente minaccioso o balisticamente mirato (durante le guerre del Novecento a spegnere addirittura, cannoncino caricaturale, le vituperate sanzioni) gioca in simmetria con altre «figure» mingenti. Mammelle che proiettano getti lattei; figurine che vomitano; pisciatrici-femmine (come recente risarcimento femminista) che urinano in piedi, soprattutto nelle ultime immagini, queste sì corteggianti la pornografia, di «pioggia dorata».
Anche se questo divertito regesto, passando attraverso le trasgressioni di Rabelais o le eleganze del Polifilo, per giungere alle immagini trasgressive di Warhol, asperse d’urina d’autore, che non smette di trasudare(ma Dalì c’era arrivato prima, e De Chirico persino metteva due gocce d’urina nell’impasto pittorico, secondo ricetta di Cennini, e fin l’algido Duchamp mise in gioco e tela il proprio sperma, ben prima di Jan Fabre) senza dimenticare Teorema di Pasolini, ove il giovane aspirante pittore finisce, alla Pollock, d’irrorare polemico la propria opera mancata, per arrivare al Manneken-Pis brussellese, stupisce soprattutto per i riferimenti al sacro. Tiziano, Lotto, Rubens, persino il severo penitenziale Michelangelo, tutti coinvolti. Ma che sia un’esagerazione vedere nei gesti degli angeli, proprio sopra la Crocefissione di Cimabue ad Arezzo, oggi ridotta a una sinopia, una sorta di sacro lavacro della carnalità di Cristo? In effetti una veste si apre, compare un… un sesso d’angelo?… e… la storia prostatica non cessa...