Libero, 12 aprile 2019
Gatti e scrittori
Se qualcuno avesse detto a quel piccolo felino tigrato, raccolto in un gattile di Parigi, che non solo sarebbe andato a vivere con uno dei più grandi scrittori di ogni tempo, ma che sarebbe stato anche un suo compagno di avventure e soprattutto il comprimario nei suoi libri, assoluti capolavori, che senza di lui non sarebbero mai stati scritti così, e che sarebbe diventato addirittura uno dei gatti più famosi della letteratura mondiale ci avrebbe creduto? No di certo! E non soltanto lui. Anche se forse lui sì... chi può dire cosa sa un gatto? Di sicuro l’incontro tra Louis-Ferdinad Céline e il micio Bèbert ha portato al genio letterario europeo tante di quelle magie che nessun racconto di fate saprebbe inventare. Che la scrittrice Marina Alberghini, gattologa e gattografa, presidente dell’Accademia dei Gatti Magici, e soprattutto esperta di storia felina, narra nel suo ultimo lavoro dal titolo Gatti e artisti (edito da Mursia, 17 euro, 190 pagine). In questo libro ritornano molti dei personaggi presenti nel suo precedente Gatti e ribelli, sempre di Mursia, ma qui le tigri in miniatura sono rappresentate come delle vere e proprie muse di grandi umani di cultura e d’arte: da Moumutte di Loti a Olympia di Manet, a Menegheto di Bassano, a Kiki la Doucette di Colette, a Bimbo di Klee, a Etoile di Courbet. Fino ad arrivare a Jorge Luis Borges, che ormai cieco e provato da molti avvenimenti, al suo Joselito dedicò alcune poesie: «Non sono più silenziosi gli specchi, né lo è più l’alba della caccia, bagnato dalla luna sei la pantera che ci è dato scrutare da lontano... tua è la solitudine, tuo il segreto... in altro tempo sei. Sei il padrone di un ambito sbarrato come un sogno».
BELLEZZA IMMORTALE
Mentre del dolce, raffinato micino Bélaud (considerato un certosino, ma per le sue caratteristiche era quasi certamente un Blu di Russia) il melanconico poeta francese del Cinquecento Joachim du Bellay, colui che riportò ai suoi fasti la purezza della lingua madre pur essendo un appassionato cultore dei poeti greci e latini, scrisse in rime: «Oggi il vivere mi atterra... e non è per aver perso i miei anelli, il denaro, la borsa... Perché ho perduto da tre giorni il mio bene, piacere ed amore... Che cosa? Mi pare che il cuore si spezzi quando ne parlo o ne scrivo. È Bélaud il mio micino grigio... la più bella opera che Natura fece mai in materia di gatti. Era Bélaud la morte ai topi, Bélaud la cui bellezza fu tale, che è degna di restare immortale». Ma ci sono pure le graziose bestiole senza nome che hanno avuto compagni umani che le hanno rese famose, come il grosso e paffuto micio tigrato di Rousseau il Doganiere o la gatta sfuggente di Leonardo da Vinci. Di Giovanni Pascoli conosciamo la patetica creatura che usa le sue ultime forze per consegnare il suo macilento micino alla casa ospitale dell’umano. Impossibile decifrare la loro vera natura. «Quello dei gatti è un popolo misterioso e antico che conosce molte cose che l’uomo ha dimenticato», diceva Walter Scott. «I gatti infatti hanno la facoltà di vedere i fantasmi e le entità che si aggirano nell’Oltre, magari vicinissimi a noi, ma in un altro piano di esistenza», come scrive Alberghini. Questa loro inclinazione era già conosciuta dagli antichi Egizi che infatti posero al collo della dea gatta Bastet l’Oudjat, l’Occhio Sacro che vede Attraverso. Quell’Oltre è confermato oggi dalla moderna astrofisica, come spiega Giuliana Conforto: «Vicinisssimo a ciascuno di noi, nell’attimo fuggente del presente, si possono celare corpi, presenze e realtà che non vediamo e che mai potremo vedere, se non emettono luce elettromagnetica». Però i gatti sì. Noi siamo degli animali dai sensi ben poco sviluppati, rispetto ai felini. Lo pensava anche il filosofo inglese George Edward Moore, il quale scrisse che i fantasmi e gli spiriti vivono nella Quarta dimensione. Che i gatti vedono perché essi hanno sensi inimmaginabili, che nel tempo li fecero apparire sia come esseri diabolici sia come creature non terrestri.
ESSERI SOVRUMANI
Il saggista e sceneggiatore David Greene affermava infatti: «I gatti sono sovrumani. Ogni rappresentante di questi felini, dal più aristocratico siamese al più umile soriano, è dotato di poteri non riscontrabili negli altri animali che popolano la terra. Dietro gli occhi colmi di sentimento e il morbido pelo si celano infatti gli spiriti dei selvatici antenati da cui discende l’odierno animale da compagnia, spiriti che conferiscono poteri unici e misteriosi anche al gatto apparentemente più placido e casalingo». Ma questo lo sanno bene coloro che vivono con un piccolo felino. E lo sapeva Algernon Blackwood, scrittore del soprannaturale e del mistero, creatore di gialli particolarissimi, ispirati al suo gatto Smoke l’acchiappafantasmi. Nero come il carbone, con una macchia bianca sul petto, rispecchiava l’aspetto di una massa pelosa di misteri nascosti, l’elusività da elfo; le sue forze convergevano nell’intelligenza: l’intelligenza segreta, l’intuito muto, inestimabile di Sua maestà il gatto. Nella sua sesta reincarnazione il gatto diviene un guru perfetto. E allora deve cercarsi un discepolo tra gli umani. Di solito sceglie un intellettuale, un artista... E un artista sceglie lui.