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Astenersi dal tifo. Se una cosa ci insegna il nuovo giro di montagne russe nella vicenda giudiziaria di Mimmo Lucano è che servirebbe testa fredda. Perché, sia santo o imbroglione, riabilitato cum laude o scaraventato alla sbarra quale presunto capo di una repubblica autonoma di furbacchioni, l’ex sindaco di Riace ha invece il potere di radicalizzare il tema già più divisivo di questi tempi cupi: l’accoglienza dei migranti; avendo fatto del suo paesino sulle montagne calabresi il modello planetario di un sostanzialismo che travalica forme e leggi ed è dunque ontologicamente destinato a osanna o vituperio. Lui stesso del resto si è sempre a suo modo «autodenunciato», persino nella scelta del proprio eroe d’infanzia, Cosimo ‘U Zoppu, l’antico ciabattino di Riace spesso incarcerato perché, regalando le scarpe ai poveri era «costretto» a rubare ai ricchi per campare. «Da bambino ne ero affascinato, mi pareva che Cosimo desse un suo originale contributo alla costruzione d’una società più giusta», ha detto in un’intervista che chiude il libro di un altro ex sindaco calabrese, Ilario Ammendolia («La ‘ndrangheta come alibi»), papà di uno dei coimputati di Lucano. Il sugo di tutta la storia, con questo mito della sinistra radicale di mezzo mondo che salutava a pugno chiuso dagli arresti domiciliari, è sempre stato proprio qui: nella sua lunga serie di confessioni stragiudiziali. Perché Lucano non ha mai negato nulla, essendo convinto di aver ragione. E c’è da credergli quando sostiene che tutti i soldi che ballano a Riace abbia inteso spenderli per i migranti. Il problema sta nell’arbitrio. Nell’idea bislacca di battere moneta. Nel sogno onnipotente di «acconciare» le vite degli altri. «Non può gestire la cosa pubblica né danaro pubblico, mai e in alcun modo. Egli è totalmente incapace di farlo (…) e, in nome di principi umanitari (…), viola la legge con naturalezza e spregiudicatezza allarmanti», scriveva di lui il Tribunale del Riesame. Più del processo, il vero contrappasso per l’ex sindaco sta così nel suo essere involontariamente complementare a Matteo Salvini: se dai 35 euro per migrante avanzava tanto da costruire a Riace una città del sole fuori dai libri contabili, pare difficile contestare l’idea del ministro degli Interni di tagliare di netto i fondi dell’accoglienza. Come se Cosimo ‘U Zoppu si fosse accorto, alla fine della carriera da Robin Hood, che i suoi poveri erano più scalzi di prima.
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CORRIERE 13/4 –
Nuovi guai giudiziari per l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano (nella foto). La Procura di Locri gli ha notificato un avviso di conclusione indagini per i reati di truffa e falso ideo-logico sempre in relazione alla gestione dei migranti. E questo dopo l’inchiesta per la quale, assieme ad altre 26 persone, andrà a giudizio l’11 giugno. A Lucano questa volta viene contestato «di avere indotto in errore ministero e Prefettura con una falsa attestazione in cui veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti nel territorio di Riace erano rispondenti alle norme in materia abitativa e igienico-sanitarie». Non basta: per un anno ancora non potrà far rientro nel suo paese per effetto del divieto di dimora. «C’è un accanimento contro di me» ha detto Lucano.
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ALESSIA CANDITO, LA REPUBBLICA 12/4 –
Va a processo Mimmo Lucano, storico sindaco del” modello Riace”. Così ha deciso la giudice Amelia Monteleone di Locri che lo ha rinviato a giudizio, insieme a 26 collaboratori, tutti parte della macchina dell’accoglienza che ha reso il piccolo borgo calabrese un punto di riferimento mondiale. Alla lettura del verdetto, lui non era in aula. Ha deciso di aspettare a casa, insieme a chi in questi mesi gli è stato vicino. Ma neanche la presenza dei suoi gli è stata di conforto, quando i legali lo hanno informato che dall’ 11 giugno dovrà affrontare il processo. «Sono emotivamente scosso, senza parole – confessa – Sono stato rinviato a giudizio anche per i capi d’imputazione che la Cassazione ha demolito. Evidentemente quello che vale a Roma non vale a Locri».
Nonostante il gip prima, la Cassazione poi, abbiano sostanzialmente demolito il quadro accusatorio messo insieme dalla procura, l’accusa ha insistito. Riace – sostiene l’ufficio – nasconderebbe un sistema criminale basato su illeciti di varia natura. E il gup ha stabilito che sarà un collegio a decidere se è vero.
Non ci aveva creduto il gip Domenico Di Croce. È stato il primo cui i pm guidati dal procuratore capo Luigi D’Alessio hanno affidato le oltre mille pagine di accuse contro Lucano e i suoi. E il primo a respingerle in buona parte al mittente, insieme alla richiesta di arresto in carcere. Tutte cassate le contestazioni di associazione a delinquere, malversazione, truffa. Definite insussistenti, laconiche, viziate da errori logici, le altre. Dei 14 capi d’imputazione, Di Croce ne aveva salvati solo due: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e irregolarità nell’appalto per la differenziata. Al sindaco, sospeso dalla carica, sono costati due settimane di domiciliari, il 16 ottobre convertiti dal Riesame di Reggio Calabria in “esilio” da Riace.Poi a febbraio è arrivata la Cassazione a smantellare il poco rimasto in piedi del quadro accusatorio. Alla Suprema Corte, Lucano si era rivolto per contestare il provvedimento che gli permette di stare ovunque, meno che nella “sua” Riace. E da Roma, non solo hanno ordinato ai giudici di Reggio di riesaminare la questione, ma hanno anche messo paletti molto chiari.
In primo luogo, sulla differenziata, affidata in via diretta a due coop di migranti e italiani, che facevano su e giù per il borgo con gli asinelli. Per la procura è un illecito, ma è la legge a prevederlo, ha ricordato la Cassazione, mentre è solo «apoditticamente evocata» la presunta malafede di Lucano. Inoltre a Riace – ha tuonato la Suprema Corte – non c’è stato nessun matrimonio di comodo. La procura più volte vi fa cenno – hanno spiegato gli ermellini – ma senza avere elementi, tanto da non poter neanche contestare l’accusa. Lucano ha effettivamente aiutato Lemlem Tesfahun nel fallito tentativo di farsi raggiungere in Italia dal fratello, ma – hanno specificato i giudici – «bisogna considerare la relazione affettiva fra i due».Tutte argomentazioni che non sembrano aver pesato nel corso dell’udienza preliminare, ma Lucano non si arrende. «La verità – dice – si farà luce da sola». A preoccuparlo adesso è Riace. Dove bisogna raccogliere i cocci del sistema distrutto dall’improvvisa cancellazione dei progetti Sprar decisa dal Viminale e preparare la campagna elettorale. Anche nel borgo della Locride si vota per le amministrative e per la prima volta Lucano, già al terzo mandato, non potrà guidare la sua lista. «Ci sarò da candidato consigliere comunale» ha promesso in questi mesi.
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LE TAPPE
• L’arresto: Il 2 ottobre 2018 Lucano finisce ai domiciliari accusato di irregolarità nella gestione del modello Riace e negli appalti per la differenziata
• L’esilio: Il 16 ottobre 2018, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria revoca i domiciliari e dispone il divieto di dimora a Riace. Inizia l’esilio di Lucano
• La Cassazione: Il 28 febbraio la Suprema corte annulla con rinvio il divieto di dimora: nelle motivazioni, smonta le accuse e certifica la regolarità degli appalti
• Il rinvio a giudizio: Ieri Lucano è stato rinviato a giudizio per tutte le accuse formulate dalla procura, nonostante siano state già cassate da gip e Cassazione.
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CARLO MACRì, CORRIERE DELLA SERA 12/4 –
LOCRI (Reggio Calabria) Mimmo Lucano, paladino dell’accoglienza e dell’integrazione, è stato rinviato a giudizio dal giudice dell’udienza preliminare di Locri, Amelia Monteleone. L’11 giugno il sindaco (sospeso) di Riace, dovrà comparire di fronte al Tribunale di Locri per difendersi dalle accuse di associazione a delinquere, truffa, abuso d’ufficio, peculato, concussione, frode in pubbliche forniture, falso, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Con il rinvio a giudizio è scattato per Lucano anche il nuovo termine di decorrenza dell’obbligo di dimora fuori da Riace, che si protrarrà per un altro anno.
Il gup ha spedito davanti al collegio giudicante anche Lemlem Tesfahun, compagna di Lucano e altre 25 persone indagate nell’ambito dell’inchiesta «Xenia», inserite a vario titolo nelle cooperative che hanno gestito il modello Riace. Il ministero dell’Interno, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, in qualità di parte offesa, insieme alla prefettura di Reggio Calabria, si costituirà parte civile. La decisione del giudice Monteleone è arrivata dopo sette ore di camera di consiglio e questo la dice lunga sulla complessità dei capi d’accusa contro Lucano. La procura ha chiesto per tutti gli indagati il rinvio a giudizio e nel corso dell’udienza il pubblico ministero Michele Permunian ha presentato una consulenza tecnica che accertava un ammanco di 5 milioni di euro che sarebbero finiti nelle tasche di privati, anziché favorire l’integrazione dei migranti. Gli avvocati della difesa, invece, hanno insistito sul «non luogo a procedere» nei confronti di Mimmo Lucano, per non aver commesso i fatti.
Il sindaco (sospeso) di Riace è stato arrestato e posto ai domiciliari il 2 ottobre scorso su ordine del giudice delle indagini preliminari di Locri Domenico Di Croce. La Procura nelle 1.200 pagine di richiesta d’arresto aveva contestato a Lucano una serie di reati che il gip aveva in parte rigettato. Il giudice Di Croce aveva anche criticato l’attività d’indagine della stessa procura e della Guardia di Finanza bollandola come «un acritico recepimento delle prove», non «integranti alcuno degli illeciti penali contestati in alcuni capi d’imputazione». Due settimane dopo il Tribunale del Riesame aveva trasformato i «domiciliari» in esilio obbligato da Riace. Nonostante il Riesame avesse convertito la misura restrittiva, nelle motivazione aveva indicato Lucano come «uomo in preda al suo delirio di onnipotenza e socialmente pericoloso».
In tribunale
A processo anche la compagna e altre 25 persone. Il ministero dell’Interno parte civile
Nel provvedimento del Tribunale si faceva riferimento, in particolare, all’affidamento fraudolento della raccolta dei rifiuti a Riace, dato a due cooperative prive di requisiti necessari e ai matrimoni di «convenienza» fatti da Lucano in qualità di sindaco, per favorire l’immigrazione clandestina.
I legali di Mimmo Lucano hanno presentato ricorso in Cassazione contro quel provvedimento. La Suprema Corte, in parte, ha dato ragione ai difensori di Lucano sostenendo che l’artefice del modello Riace non ha commesso né truffe, né matrimoni di comodo. La Corte di Cassazione ha quindi disposto un nuovo pronunciamento del Tribunale del Riesame. Ieri il rinvio a giudizio.
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LUCA FAZZO, IL GIORNALE 12/4 –
Era stata raccontata come una riabilitazione, e non lo era: ma pochi giorni fa a qualche milione di italiani era stato fatto credere che la Cassazione avesse sancito l’innocenza di Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace divenuto un’icona dell’accoglienza. Niente di tutto questo era accaduto, Lucano non era stato assolto e nemmeno gli avevano revocato il divieto di vivere a Riace. La Cassazione si era limitata a disporre una rivalutazione parziale di una delle accuse minori a suo carico. Ma intanto il procedimento a carico di Lucano è andato avanti per la sua strada. E ieri su Lucano arriva la prima legnata: il giudice delle indagini preliminari di Locri, accogliendo in pieno la richiesta della Procura della Repubblica, ha disposto il suo rinvio a giudizio per tutte le imputazioni a suo carico formulate dalla Procura. Il processo inizierà l’11 giugno, insieme a Lucano siederanno sul banco degli imputati altre ventinove persone: ma soprattutto sarà sotto accusa insieme all’ex sindaco il modello di accoglienza ribattezzato «modello Riace», fatto di grande attenzione ai diritti dei migranti ma di attenzione assai più scarsa per il rispetto della legge. «Lucano ha agito a fin di bene», titolavano molti siti lo scorso 3 aprile, il giorno del provvedimento della Cassazione: ed è l’unica notizia vera, perché neanche nelle tesi dell’accusa ci sono tracce di fini di lucro da parte del «sindaco eroe» di Riace. Certo, qualche vantaggio personale a Lucano viene contestato: come il consenso elettorale che avrebbe puntato a guadagnare con i favori alle cooperative incaricate di accogliere i profughi, e che in una intercettazione valutava proprio in base ai voti che avrebbero portati; o i favori alla sua compagna Tesfahun Lemlem, ora imputata insieme a lui, e ai suoi familiari. Per il resto, ad emergere è quello che i giudici del tribunale del Riesame di Reggio Calabria, che confermarono la gravità degli indizi contro Lucano, definirono un «delirio di onnipotenza» in cui in nome della missione di cui si sentiva investito il sindaco - dimenticando di essere un pubblico ufficiale - calpestava una legge dopo l’altra, a partire da quella che proibisce di favorire l’immigrazione clandestina sul territorio italiano. Il decreto emesso ieri dal giudice preliminare spedisce Lucano a giudizio anche per il reato di associazione a delinquere, che all’inizio dell’inchiesta un altro giudice aveva ritenuto non sufficientemente provato. Ma la Procura di Locri non ha mollato e ha portato altre carte che alla fine hanno portato il sindaco sul banco degli imputati anche per quella accusa. Lucano era «capo e promotore» di una associazione criminale finalizzata alla truffa allo Stato, alla concussione, al peculato. In sostanza i fondi stanziati dallo Stato per l’accoglienza venivano spesi a Riace come se fossero fondi privati di Lucano, finanziando onlus scelte dal primo cittadino al di fuori di ogni procedura, prive dei requisiti di legge e amministrate da uomini-ombra dello stesso Lucano. «Vado avanti con coraggio, dimostreremo che la verità si fa luce da sola» è la reazione dell’ex sindaco alla decisione del giudice. Il problema per Lucano è che ogni volta che le accuse a suo carico sono arrivate al vaglio di un giudice sono state sostanzialmente confermate: prima dal magistrato che lo spedì agli arresti domiciliari, poi dal tribunale del Riesame di Reggio Calabria e infine dalla Cassazione. Che speranze ci sono che il processo che si apre l’11 giugno abbia un esito diverso, per ora è impossibile dirlo. Di sicuro c’è che Lucano è di fonte a un bivio: cercare di limitare I danni con una difesa tecnica, o rivendicare il proprio operato, reati compresi, in nome del bene dell’umanità: e affrontare a quel punto una condanna che, per effetto della legge Severino, segnerebbe la fine della sua carriera.