La Stampa, 12 aprile 2019
Intervista a Charles Leclerc
Il ragazzo ha indubbiamente qualcosa di speciale. Charles Leclerc non è un pilota qualunque e lo si capisce anche guardandolo negli occhi, sulle palafitte del paddock di Shanghai, mentre lo incontriamo per la prima intervista da nuovo fenomeno Ferrari. Gli sono bastate due gare per trasformarsi in principe, lui che arriva da Montecarlo, bucare lo schermo e il cuore di tanti tifosi. «Già, in F1 non sono veloci solo le macchine: dopo l’Australia nessuno mi vedeva tra i candidati al Mondiale, adesso tutti. Mi fa piacere».
Charles, si sente pronto?
«Perché no? Ho tanto da imparare, ma darò il 200 per cento».
Implicherebbe far meglio anche del suo compagno di squadra, Sebastian Vettel: sia in Australia sia in Bahrein lei via radio ha detto al team «sono più veloce di lui». Si sente più forte in questo momento?
«Sebastian ha talento, esperienza, dopo due gare non si può giudicare. Però sì, in Bahrein mi sono sentito molto forte, a Melbourne meno: vedremo».
Accetterebbe altri ordini di scuderia?
«Per il momento sì, l’interesse del team viene prima di tutto. Dipende anche dalla situazione».
Due settimane fa non ha ascoltato il «consiglio» di aspettare due giri prima di superare Vettel.
«Avevo un ritmo superiore, l’ho passato senza rischi».
Sorpreso dalla facilità della manovra?
«No, Sebastian era un po’ meno a suo agio di me».
Lei dice sempre di imparare da lui, ma c’è qualcosa che Vettel può imparare da lei?
«Credo di sì, si impara sempre dal compagno di team».
Gestire l’aspetto mentale ad esempio?
«Che cosa è meglio chiederlo a Sebastian... Corre da molti anni, da tanto è in Ferrari, sicuramente ho più cose da imparare io da lui».
Ha la sensazione che le gerarchie possano cambiare presto?
«Ripeto, sono solo due gare e la domanda semmai è per Binotto. Non decido io».
Il rapporto con Sebastian è cambiato?
«Assolutamente no, ciascuno di noi vuole battere l’altro ma abbiamo trovato un buon equilibrio per lavorare insieme».
Scommetterebbe su se stesso un giorno campione del mondo?
«Farei di tutto per far vincere la scommessa a chi dovesse puntare su di me. L’obiettivo è diventare il migliore, la strada è lunga ma prima o poi spero di centrarlo. Non c’è cosa che abbia fatto in vita mia senza l’ambizione di essere primo».
Si è reso conto della sua grande popolarità?
«È aumentata la quantità di messaggi sui social, anche se non riesco a leggerli tutti. Quando le persone iniziano a vedere la tua faccia sul podio, le cose cambiano: ora la gente mi conosce un po’ di più ed è bello».
Parlare la nostra lingua l’aiuta a piacere.
«Non è stato difficile impararla, nei kart si corre quasi sempre da voi».
Le hanno fatto piacere anche i complimenti di Hamilton?
«Non ci hanno ridato la vittoria ma sono state belle parole. L’obiettivo è stare davanti alle Mercedes».
Conosce la storia della Ferrari?
«Ho sempre avuto un debole per la macchina rossa, crescendo ne ho compreso anche l’importanza».
C’è chi rivede in lei Gilles Villeneuve, in particolare nella capacità di entusiasmare il pubblico. Lei a quale pilota del passato Ferrari vorrebbe somigliare?
«Voglio essere me stesso, la versione migliore di me stesso, senza copiare nessuno».
Guidare le piace anche fuori dalla pista?
«Sì, se no non sarei così veloce in F1, le cose che divertono vengono meglio. Ho una 488 Pista, la mia macchina preferita».
A 21 anni ha già perso due persone care, papà Hervé e l’amico Jules Bianchi: questi lutti hanno cambiato la sua visione del rischio e della morte?
«Mi hanno cambiato molto come persona, è stato difficile accettarli, ma l’approccio alle corse è rimasto lo stesso».
Lei dà sempre l’impressione di grande autocontrollo: da dove arriva questa forza?
«Ripensando ai kart, uno dei miei punti deboli era proprio la testa. È stato fondamentale lavorarci, capire come funziona la mia mente. Prima ero sicuro di saperlo ma mi sbagliavo, con l’allenamento arrivi a gestire le emozioni».
La prima gara che ricorda?
«Montecarlo, due o tre anni. Ero sul balcone di casa di amici, all’uscita dalla prima curva, a giocare con le mie macchinine. Quella rossa vinceva il mio Gp, sotto si correva quello vero».
Quando ha capito che questo era il suo destino?
«Da bambino, mi finsi malato per saltare scuola e andare con papà alla pista di kart del padre di Bianchi. Chiesi di girare, mi attaccarono con una corda a un altro kart ma dopo mezzo giro me la cavavo bene...».
Qual è il primo mezzo con cui ha percorso il circuito di Montecarlo, casa sua?
«Il primo non ricordo, quello con cui ho fatto più «giri» è il bus per andare a scuola».
Segue suo fratello Arthur, a 19 anni, in F4?
«Faccio il possibile per aiutarlo, però è importante anche che cammini con le proprie gambe».